Il presidente iraniano Hassan Rohani in visita all'impianto nucleare di Bushehr (Ansa)
Sessanta giorni di tempo perché vengano soddisfatte le sue richieste in ambito petrolifero e bancario. Viceversa, Teheran riprenderà l'arricchimento del suo uranio,
anche se non intende ritirarsi dall’accordo sul nucleare. L’annuncio è arrivato dal presidente iraniano Hassan Rohani, che spinge così sull’acceleratore
nel primo anniversario del ritiro americano dall’intesa. L’ultimatum è contenuto in una lettera indirizzata ai restanti partner del Piano comprensivo di azione (Jcpoa), firmato nel 2015 con il gruppo “5+1” (Usa, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania).
"Per proteggere la sicurezza e gli interessi nazionali del popolo iraniano, e nell'implementazione dei suoi diritti previsti dai paragrafi 26 e 36 del Jcpoa, la Repubblica islamica interrompe da oggi alcune delle sue misure sotto il Jcpoa", spiega una nota. Teheran ha annunciato quindi di non sentirsi più obbligata a rispettare i limiti attualmente previsti sulle sue riserve di uranio arricchito e acque pesanti e concede 60 giorni ai partner per "soddisfare i loro obblighi, specialmente in campo petrolifero e bancario", in modo da bilanciare, come promesso, gli effetti delle sanzioni Usa. Se ci sarà un'intesa, Teheran tornerà a rispettare tutti i suoi obblighi. Ma, senza un accordo, si riserva di riprendere anche altre attività nucleari.
Secondo il ministro degli Esteri iraniano Mohammad Javad Zarif, in visita a Mosca, la decisione di sospendere alcuni obblighi non costituisce una violazione dell’intesa. "Non stiamo operando al di fuori dell'intesa ma anzi lavoriamo all'interno del quadro" dell'accordo, ha aggiunto, citando la sezione 26 e 36 che permette all'Iran di cessare alcuni o tutti i suoi impegni se una delle altre parti non aderisce all'accordo, anche attraverso la reimposizione delle sanzioni. L’Iran, ha anzi sottolineato Zarif, ha sempre rispettato i termini dell’accordo sul nucleare. A Mosca, Zarif ha subito raccolto la solidarietà del ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, che, in contrapposizione a Donald Trump, ha detto di apprezzare l’impegno iraniano verso l’intesa.
Da Pechino, il portavoce del ministero degli Esteri cinese Geng Shuang ha ribadito che l’accordo deve essere confermato e pienamente attuato: "Tutte le parti coinvolte hanno la responsabilità perché questo accada". Mentre il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu ha intimato da parte sua: “Non permetteremo all'Iran di possedere armi nucleari”.
Come funziona l'accordo
Il punto principale dello storico accordo sul programma nucleare iraniano è la revoca delle sanzioni internazionali imposte a Teheran. A reintrodurle, però, è stata in due tranche l'Amministrazione di Donald Trump e le restrizioni stanno producendo effetti negativi sull’economia iraniana. Il testo di 159 pagine prevede l'eliminazione delle sanzioni internazionali in cambio di una serie di restrizioni al programma nucleare e in seguito alla verifica da parte dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (Aiea) del rispetto da parte dell'Iran degli impegni presi a Vienna.
Uno dei punti chiave dell'intesa riguarda l'impianto per l'arricchimento dell'uranio di Natanz. L'Iran si è impegnato a mantenere presso questo sito non più di 5.060 centrifughe e ad arricchire l'uranio a un livello non superiore al 3,67% nel corso dei prossimi 15 anni, per uno stock massimo di 300 chilogrammi. L'accordo prevede la trasformazione dell'impianto di arricchimento di Fordow, vicino Qom, in un centro di ricerca specializzato in fisica nucleare, dove non vi si potrà introdurre materiale fissile per 15 anni, mentre delle 2.800 centrifughe operative solo 1.044 sono rimaste in funzione. Le altre sono state trasferite presso un deposito sottoposto a ispezioni dell'Aiea.
L'intesa di Vienna stabilisce inoltre che il reattore ad acqua pesante di Arak sia modificato in modo tale da non poter produrre plutonio a sufficienza per la bomba nucleare. In particolare, l'impianto non potrà produrre più di un chilogrammo di plutonio all'anno. In base all'accordo, infine, l'Aiea può condurre ispezioni anche nei siti militari, come quello di Parchin, ma senza un automatismo. È necessario cioè il via libera di Teheran.
Se l'Iran violerà uno di questi obblighi e degli altri previsti dall'accordo, la comunità internazionale può reintrodurre le sanzioni con una procedura che dura in tutto 65 giorni e che si apre quando uno Stato denuncia la presunta violazione a un collegio arbitrale composto da rappresentanti del gruppo 5+1, dell'Unione Europea e dello stesso Iran. Il collegio avrà 30 giorni per decidere se portare la questione al vaglio del Consiglio di Sicurezza Onu, che avrà altri 30 giorni per esprimersi tramite una votazione a maggioranza in cui nessuno Stato avrà diritto di veto. Anche l'Iran può avvalersi all'arbitrato per questioni come le ispezioni.
Un messaggio all'Europa
Secondo l’analisi dell’Ispi, “la decisione iraniana rappresenta più un ultimatum all’Unione Europea e una risposta alla politica statunitense di “massima pressione”, che non una manifestazione della indisponibilità a continuare ad adempiere all’accordo. Con questo gesto, Teheran intende lanciare un segnale agli Usa e alla comunità internazionale: la via diplomatica è ancora aperta, ma se non si troverà il modo per far sì che l’Iran possa continuare a ricevere la contropartita stabilita dall’accordo in cambio dello stop al programma nucleare (ovvero la sospensione delle sanzioni), al Paese non resta che ritirare la propria adesione all’accordo stesso e riprendere in toto le attività di sviluppo del proprio programma nucleare”. Sarà cruciale dunque “osservare la risposta dell’Ue” per capire se l’intesa sul nucleare sia destinata a collassare.