«È paradossale penalizzare i Paesi che mettono in atto misure che effettivamente rendono il debito pubblico più sostenibile nel lungo periodo», sostiene Marco Annunziata, capo economista del gruppo Unicredit.
Perché è paradossale?Molti Paesi, soprattutto in Europa, si trovano ad affrontare un problema molto importante: l’aumento futuro della spesa pubblica, legato all’invecchiamento della popolazione. Quindi maggiore spesa per la sanità e per le pensioni. Se oggi un Paese lancia una riforma delle pensioni, questa riforma può comportare dei costi e, quindi, un aumento del disavanzo pubblico e del debito pubblico nell’immediato. L’aumento viene prontamente registrato e il Paese in questione rischia di subire delle sanzioni per aver violato le regole del patto di stabilità.
È quanto previsto dalle attuali regole del patto di stabilità....Al tempo stesso, però, non gli viene riconosciuto il fatto che queste riforme portano un beneficio enorme in termini di riduzione della spesa pubblica futura.
In che termini legge allora le richieste di alcuni Paesi «periferici» di Eurolandia?Il tentativo che si sta facendo e che è partito soprattutto da alcuni Paesi (Bulgaria, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica ceca, Romania, Slovacchia, Svezia e Ungheria,
ndr) è quello di argomentare che il patto di stabilità dovrebbe anche tenere conto dei benefici futuri di queste riforme.
Affinché questo accada, serve il consenso di tutti i 27 Paesi che fanno parte dell’Unione europea. Ma la Germania si è già detta scettica a riguardo. Cosa ne pensa?In linea di di principio posso comprendere che il governo tedesco sia restio a fare eccezioni, ma, nel caso specifico, interventi di riforma volti a ridurre il peso futuro della spesa per le pensioni sono così importanti che sicuramente andrebbero incentivati nell’ambito del patto di stabilità.
È possibile riformare le pensioni senza aggravare i conti pubblici?Ci sono riforme "a costo zero" come quella già adottata dall’Italia, in cui si interviene soprattutto sui parametri del sistema pensionistico. Se oggi aumentiamo l’età pensionabile di qualche anno con un meccanismo che faccia entrare in vigore l’aumento gradualmente nel tempo, andremo a diminuire il costo delle pensioni nel futuro senza caricarci di un costo eccessivo nell’immediato. Questo modo di affrontare il problema riduce il costo delle pensioni, però lascia la responsabilità per il pagamento delle pensioni future sul bilancio pubblico.
Qual è l’alternativa?Creare dei fondi separati per il pagamento delle pensioni. In questo caso, i miei contributi previdenziali non vanno più allo Stato, ma vanno in un fondo specifico investito in azioni e obbligazioni, e da quel fondo verranno pagati i miei benefici pensionistici una volta che andrò in pensione. Una riforma del genere ha un impatto positivo maggiore sui conti pubblici futuri, ma ha un peso maggiore sui conti pubblici nell’immediato. E questa compensazione andrebbe riconosciuta.
Bruxelles si appresta a definire i dettagli della riforma del patto di stabilità. Qual è la novità più interessante tra quelle emerse finora?Il semestre europeo, in cui gli Stati membri presentano alla Commissione Ue i loro programmi di spesa pubblica e tassazione. La Commissione fa quindi il confronto tra tutti i programmi nazionali e ha il tempo necessario per dare suggerimenti ai diversi Paesi. Questo è un esercizio di coordinamento molto importante. Anche perché in questo esercizio non si guarderà solo al disavanzo pubblico, ma anche ai disavanzi dei conti con l’estero, che fino ad adesso erano stati completamente ignorati, e all’andamento del debito privato, anche se in maniera qualitativa.
Qual è il punto debole della riforma abbozzata dalla Commissione Ue?Le sanzioni. Per quanto in teoria più serie e più forti di prima, saranno sempre difficili da mettere in atto. In passato le sanzioni non sono mai state imposte, perché quando si arrivava al momento di doverle imporre, i governi nazionali si opponevano e le autorità di Bruxelles non avevano nessun potere. Questa situazione per me rimane e non cambierà finché gli Stati membri non avranno il coraggio di delegare più poteri a Bruxelles. Succederà verosimilmente quello che abbiamo visto nel 2003, quando Francia e Germania violarono il patto di stabilità senza subire alcuna sanzione.