giovedì 1 febbraio 2024
Per Human Rights Watch ci “sono prove credibili” che i produttori di alluminio nello Xinjiang si stiano avvantaggiando di trasferimenti di manodopera "forzata" per rifornire le case automobilistiche
Una manifestazione di membri del World Uyghur Congress a Berlino

Una manifestazione di membri del World Uyghur Congress a Berlino - ANSA

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Nel boom delle auto elettriche – con la Cina pronta ad assaltare i mercati globali – potrebbe nascondersi un “cuore” oscuro: il ricorso al lavoro forzato nello Xinjiang. L’accusa viene da Human Rights Watch che, in un rapporto di 99 pagine intitolato “Asleep at the Wheel: Car Companies’ Complicity in Forced Labour in China”, ha individuato possibili collegamenti tra diverse case automobilistiche – tra le quali il rapporto nomina General Motors, Tesla, BYD, Toyota e Volkswagen - e l’alluminio prodotto utilizzando gli internati uighuri nei campi di lavoro.
“Le aziende automobilistiche semplicemente non conoscono la portata dei loro legami con il lavoro forzato nello Xinjiang per quanto riguarda le catene di approvvigionamento di alluminio”, ha affermato Jim Wormington, ricercatore senior presso Human Rights Watch. “I consumatori dovrebbero sapere che le loro auto potrebbero contenere materiali legati al lavoro forzato o ad altri abusi nello Xinjiang”. Secondo Human Rights Watch ci “sono prove credibili” che i produttori di alluminio nello Xinjiang si stiano avvantaggiando di trasferimenti di manodopera.
Lo Xinjiang, sotto la regia di Pechino, si sta consolidando come un polo industriale. La produzione di alluminio nella regione è cresciuta da un milione di tonnellate (nel 2010) a sei milioni di tonnellate (nel 2022). Oltre il 15% dell’alluminio prodotto in Cina, pari al 9% dell’offerta globale, proviene dalla regione. L’alluminio viene utilizzato “in dozzine di parti automobilistiche, dai blocchi motore ai telai dei veicoli, dalle ruote ai rivestimenti delle batterie elettriche”.
Volkswagen ha dichiarato a Human Rights Watch “di non essere legalmente responsabile per gli impatti sui diritti umani nella catena di fornitura della loro joint venture ai sensi della legge tedesca sulla catena di fornitura perché la legge copre solo le filiali”.
General Motors, Toyota e l’azienda automobilistica cinese BYD – fa sapere ancora l’Ong - non hanno risposto alle domande sulla supervisione delle joint venture cinesi, sulla mappatura della catena di fornitura o sull’origine dell’alluminio. General Motors, invece, si è impegnata a “lavorare in collaborazione con partner del settore, parti interessate e organizzazioni per affrontare eventuali rischi legati all’utilizzo del lavoro forzato nella nostra catena di fornitura".

Una moschea a Kashgar nello Xinjiang

Una moschea a Kashgar nello Xinjiang - REUTERS

«OLTRE UN MILIONE NEI CAMPI DI LAVORO»

Il “dossier” alluminio si incastra con la situazione della minoranza musulmana dello Xinjiang, gestita con il pugno di ferro da Pechino. Dal 2017, “il governo cinese ha detenuto arbitrariamente più di un milione di musulmani nei campi di rieducazione”. Ricercatori internazionali e funzionari governativi statunitensi hanno calcolato che in realtà il numero dei detenuti – non solo uighuri ma anche kazaki e uzbeki – potrebbe sfiorare quota due milioni. Il governo cinese chiama le strutture “centri di istruzione e formazione professionale” ma le organizzazioni umanitarie e i ricercatori internazionali parlano apertamente di “campi di rieducazione, campi di internamento, campi di detenzione, campi di concentramento". “Al di fuori dei campi, gli undici milioni di uighuri che vivono nello Xinjiang – ufficialmente chiamato Regione autonoma uighura dello Xinjiang – hanno continuato a soffrire per decenni di repressione da parte delle autorità cinesi”.

L'ASSALTO AL CIELO (ELETTRICO)

Non c’è solo la questione dei diritti civili (calpestati). Ma anche quello delle regole della concorrenza economia (violata). Nel suo discorso sullo stato dell’Unione del 13 settembre 2023, la presidente della Commissione Ursula von der Leyen ha attaccato l’industria automobilistica cinese, accusata di inondare i mercati globali con prezzi “artificialmente bassi” a causa di “enormi sussidi statali”. Politiche aggressive che stanno capitalizzando i primi risultati, tanto che il Japan Times non esita a parlare di “dominio globale” cinese. Una scalata che minaccia di terremotare equilibri e posizioni di forza consolidati. Prima “vittima” proprio il Giappone, a cui Pechino ha scippato il ruolo di primo esportatore di veicoli al mondo.

I dati diffusi dalla Japan Automobile Manufacturers Association mostrano che lo scorso anno le spedizioni di automobili, camion e autobus dal Giappone sono aumentate del 16% a 4,42 milioni. Ma la Cina ne ha esportati quasi 500mila in più, ovvero 4,91 milioni in totale, come riportato dalla China Association of Automobile Manufacturers. Ci sono poi risultati dalla forte carica simbolica. La cinese BYD, nel quarto trimestre del 2023, ha strappato a Tesla il primato nelle vendite di veicoli elettrici. Come scrive Asia Times, “l’impegno del governo cinese nel rilanciare l’economia verde, insieme al solido sostegno politico per l’industria dei veicoli elettrici, è destinato a produrre un cambiamento significativo nelle dinamiche dell’industria automobilistica globale”. Costituiendo quello che è stato definito “uno dei casi di politica industriale di maggior successo nella storia recente del Paese”.
La Cina, che ospita un numero enorme di produttori di veicoli elettrici (fino a 300 nel 2021), procede a tutta velocità: negli ultimi due anni, il numero di veicoli elettrici venduti ogni anno nel gigante asiatico è cresciuto da 1,3 milioni a ben 6,8 milioni, rendendo il 2022 l’ottavo anno consecutivo in cui la Cina è stata il più grande mercato mondiale per i veicoli elettrici. Per fare un confronto, gli Stati Uniti hanno venduto solo circa 800.000 veicoli elettrici nel 2022. Nel 2023 l’assalto è continuato. Con un totale di 3,4 milioni di unità spedite, Pechino si è confermato il mercato più consistente di veicoli elettrici, rappresentando il 55% delle vendite globali di veicoli elettrici nella prima metà del 2023. E in molti scommettono che non si fermerà.

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