l fronte favorevole alla Brexit, a Westminster, ha scomodato anche Winston Churchill (Ansa)
Nonostante gli alberi in fiore e un caldo sole primaverile, il clima che si respira a Londra il giorno dopo il terzo no del Parlamento all’accordo di Theresa May su Brexit non è affatto buono. Sgomento. Rabbia. Imbarazzo. Preoccupazione. Gli inglesi non riescono a trovare altre parole per spiegare come ci sente ad assistere, da cittadini, alle inconcludenti manovre della politica mentre il Paese corre rovinosamente verso il baratro di una separazione “no deal” dal Continente. Jonathan, 38 anni, imprenditore editoriale, ammettere di aver votato «convito» per il Leave al referendum del 2016 ma oggi, pur restando dell’idea che il Regno Unito avrebbe un futuro migliore fuori dall’Ue, dice: «Non se ne può più di questo teatrino, se la situazione resta com’è, ovvero inestricabile, penso che dovremmo tutti accettare di rimanere nell’Europa e rimandare la questione ad altri tempi».
Il pantano in cui il Paese si è cacciato, a suo dire, «è frutto delle contraddizioni di un Parlamento che non rappresenta più l’elettorato britannico». Ne è un esempio la stessa maggioranza di governo, fondata sull’appoggio ricattatorio del partito unionista nordirlandese, quello che, per ben tre volte, ha portato la premier a sbattersi conto il muro del «no» all’accordo di divorzio. Uno degli effetti più vistosi della querelle su Brexit sembra essere proprio l’allargamento della distanza tra cittadini e Parlamento. «Ho l’impressione che ai deputati non interessi risolvere il problema», spiega Max, titolare di un negozietto di abbigliamento vintage nel cuore di Islington, Londra nord. «Sono senza parole – sottolinea – non so più cosa aspettarmi. Se avessero avuto davvero a cuore il futuro del Paese un’intesa l’avrebbero trovata. Invece no, perdono tempo a farsi la guerra esponendoci tutti al disastro del no deal». Nonostante tutto, il negoziante, 60 anni, londinese, si dice ottimista, «non si arriverà mai a una separazione drammatica».
Lui, però, non vuole aspettare l’esito dei negoziati con le mani in mano e, ammette, «mi darò da fare per procurarmi un altro passaporto, magari polacco o tedesco». Se Brexit è diventato per molti un incubo lo si deve anche alla complessità dei termini, degli argomenti e delle procedure che lo caratterizzano. Troppa tecnica, troppa tattica. «Ho smesso di seguire le news su Brexit perché tanto era inutile, non riuscivo più a capirci nulla», confessa Josephine, 25 anni. Un breve riassunto della vicenda prova a farglielo l’amica Vicki, sua coetanea, che ammette di essere riuscita a stare dietro a tutti i passaggi della tormentata vicenda solo grazie all’aiuto di diagrammi che si è costruita da sola giorno dopo giorno. «Mi interessa capire che futuro avrò», dice, «anche se ciò significa fare i conti con l’ansia per un possibile crollo dell’economia».
Al mercato di Chapel Market, a due passi dalla stazione di Angel, tutti commentano la notizia dell’uomo che ha trascorso la notte sul tetto della stazione di Saint-Pancras sventolando una bandiera dell’Inghilterra in segno di protesta contro il posticipo della Brexit. La dimostrazione, benché solitaria, ha provocato la sospensione del traffico ferroviario e l’annullamento di ben 11 Eurostar. «Siamo alla follia – commenta Loraine, maestra in una scuola per l’infanzia – chissà quanto l’Europa starà ridendo di noi». La gente comune sembra stanca della saga Brexit. Poco, o nulla, importa che Theresa May torni in Parlamento la prossima settimana per chiedere un quarto voto al suo piano o, come anticipano dai giornali, una sorta di ballottaggio tra l’accordo e l’opzione più votata dall’Aula tra le diverse alternative possibili (tra cui soft Brexit e modello canadese). A interessare un po’ di più, a questo punto, è solo l’ipotesi di elezioni anticipate. Un’alternativa concreta, in caso di un ennesimo flop. «Neppure la convocazione di un secondo referendum sulla Brexit potrebbe bastare a tirarci fuori da questo disastro», dice Brayan, 70 anni, mentre vende tessuti su una bancarella di Camden Passage. «Sono nordirlandese – racconta –, di Belfast, per l’esattezza, e nessuno meglio di me sa quanto è importate la questione del confine. Se questi politicanti, compresi quelli del Dup, avessero la mia stessa consapevolezza una soluzione a Brexit sarebbe stata già trovata da un pezzo».