lunedì 15 aprile 2024
Dopo l'attacco iraniano di sabato notte, la tensione si è riversata nel Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite. Teheran: il nostro è diritto all'autodifesa, non vogliamo una guerra con gli Usa
Un manifesto di propaganda dei sistemi missilistici iraniani a Teheran

Un manifesto di propaganda dei sistemi missilistici iraniani a Teheran - Ansa

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La notte in cui il cielo di Gerusalemme ha perso l’inviolabilità, dardeggiavano sulla cupola della Moschea di al-Aqsa i riflessi delle esplosioni sopra la Città Vecchia, dove i residenti arabi, cristiani, ebrei, coesistono un po’ tollerando e molto sopportandosi. Il governo israeliano, sordo agli appelli della comunità internazionale e degli alleati più sinceri, ha avviato i motori per una «inevitabile ritorsione». All’alba di domenica, mentre la famiglia musulmana a cui è tramandata da secoli l’apertura del Santo Sepolcro si affrettava a spalancare l’ingresso che da 193 giorni non vede più la ressa di pellegrini e turisti, molti erano a ringraziare per averla scampata: gli islamici sulla Spianata della Moschee, gli ebrei al “Muro Occidentale”, i cristiani nelle loro chiese. «Dovremmo essere grati a Israele per le armi di difesa di cui siamo dotati», commenta il pasticciere arabo-israeliano che prepara caffè italiano, sostiene la causa palestinese, ma ha imparato a non fidarsi. «Gli ayatollah sciiti sono peggio dei coloni israeliani che ci ammazzano per prendersi la terra. Ai Pasdaran di noi palestinesi non importa niente. Ci usano per i loro scopi», dice con l’espressione disincantata di chi comincia ad essere troppo vecchio per credere alle smancerie «di quelli che parlano di Palestina e non hanno mai dato una mano ai palestinesi». Ayatollah compresi. «La quantità di droni e misili sparati contro di noi non può restare impunita. Reagiremo», promette una fonte dello Stato maggiore mentre Netanyahu non ha risposto alle telefonate di diversi leader occidentali che vogliono riportarlo a più miti consigli. Niente sembra fermare il desiderio di guerra, con il rischio sempre più concreto di un conflitto regionale ampio.

Fonti governative israeliane fanno trapelare la richiesta di Tel Aviv agli Usa perché una risposta contro l’Iran venga messa in campo sotto il coordinamento americano. Secondo il “Washington Post”, l’idea di Netanyahu sarebbe quella di un raid “contenuto” su Teheran – cioè senza vittime civili – o di un attacco informatico su vasta scala. Occhio per occhio. I Paesi occidentali «dovrebbero apprezzare la moderazione dell’Iran nel suo attacco con missili e droni contro Israele invece di formulare accuse», ha dichiarato il portavoce del ministero degli Esteri iraniano Naser Kanani, che ha rivendicato la legittimità della rappresaglia dopo l’attacco israeliano al consolato iraniano in Siria . «Le azioni dell’Iran sono legittime e gli occidentali dovrebbero apprezzare la moderazione dimostrata per la pace e la sicurezza nella regione». Gerusalemme è il luogo nel quale rancori e tradimenti sono pane quotidiano, dove Caino è sempre qualcun altro, e nessuno si sorprende se chi in una una notte ha scagliato almeno 140 droni e oltre 60 missili, adesso dica di averlo fatto «per la pace».

Salvo minacciare ancora: se Israele dovesse la risposta dell’Iran sarà «immediata, più forte e più ampia», ha avvertito il ministro degli Esteri iraniano, Hossein Amir-Abdollahian, parlando al telefono con il suo omologo britannico, David Cameron. Un colloquio che dice molto del “non detto”, e che a certe latitudini conta di più. Come le mancate smentite alle informazioni di intelligence secondo cui tre giorni prima del raid di sabato notte le autorità iraniane avevano informato le controparti dell’Arabia Saudita e di altri Paesi del Golfo sui tempi del loro attacco su larga scala contro Israele, in modo che quegli Stati chiudessero per tempo lo spazio aereo. L’informazione è stata trasmessa agli Stati Uniti, che insieme a Tel Aviv hanno approntato le contromisure, stabilendo alleanze inedite nel momento più alto della crisi.

Con il Regno di Giordania, dove vive la più grande comunità palestinese al di fuori dai Territori, che è intervenuto abbattendo, con l’ausilio dei caccia di Francia e Gran Bretagna, numerosi missili e droni prima che raggiungessero Israele. Nel “grande gioco” mediorientale tutti hanno bisogno di non perdere la faccia. Teheran ha brandito le scimitarre, Israele si è difesa mostrando di avere il sostegno degli alleati, gli States sono tornati a fare l’arbitro con la pistola nella fondina. L’esercito israeliano ha dichiarato di avere abbattuto più del 99 per cento degli ordigni iraniani. «Abbiamo intercettato, abbiamo respinto, insieme vinceremo», aveva scandito il premier Netanyahu annunciando una ritorsione, prima di venire messo alle strette dagli Usa. Fonti non smentite della Casa Bianca hanno fatto sapere che per il presidente Biden è meglio lasciar stare. Del resto il primo ministro israeliano potrebbe avere i giorni contati. «Il modo per avere influenza è aiutarci a far cadere questo governo», è l’appello che il leader dell’opposizione israeliana Yair Lapid rivolge a Benny Gantz, l’ex capo dello stato maggiore che dopo gli attacchi del 7 ottobre ha accettato di entrare nel governo di emergenza. «Gantz potrebbe essere primo ministro », propone Lapid. Dal canto suo il leader della destra radicale Itamar Ben-Gvir ha dichiarato di non sentirsi più «vincolato dalla disciplina di coalizione» dopo che i partiti religiosi della maggioranza hanno bloccato il progetto di espansione della sua autorità, grazie a cui avrebbe voluto intensificare le politiche di occupazione in Cisgiordania. Destini e carriere politiche che per sopravvivere hanno bisogno di tenere il dito costantemente sul grilletto.


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