domenica 9 agosto 2020
Parla il vicario apostolico di Beirut: la nazione deve tornare ad essere modello di convivenza tra fedi e culture. «Dobbiamo ricostruire in modo nuovo, cancellando la corruzione»
Il vescovo Cesar Essayan, vicariato apostolico di Beirut

Il vescovo Cesar Essayan, vicariato apostolico di Beirut - Avvenire

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«No, non è come al tempo della guerra civile libanese». Una pausa. «È peggio. Perché, durante il conflitto che dal 1975 al 1990 ha insanguinato il Paese, non abbiamo mai sperimentato un livello di distruzione simile a quello attuale». Parla con voce decisa il vescovo Cesar Essayan. Francescano, dell’Ordine dei frati minori conventuali, guida dal 2016 il vicariato apostolico di Beirut che raccoglie i cattolici di rito latino. Dalla capitale racconta la strage del porto con la misteriosa esplosione che ha devastato la metropoli. «Ero a casa di parenti – dice –. Avevo finito da poco di predicare gli esercizi spirituali alle Suore della carità di Besançon. E, anche se mi trovavo a quindici chilometri dal porto, la deflagrazione è stata così potente che l’abbiamo sentita come fosse a poche centinaia di metri. Nessun quartiere della capitale è stato risparmiato. Molti si sono salvati per miracolo». Anche in Italia è già scattata la mobilitazione per aiutare il Libano. E in prima linea c’è la comunità ecclesiale. «Sicuramente abbiamo bisogno di un sostegno immediato. Ma alla Chiesa italiana chiediamo soprattutto di pregare per noi. Serve tanta preghiera perché i nostri cuori sono pieni di odio ».

Eccellenza, ancora una volta il Libano è in ginocchio.

Già stavamo attraversando una profonda crisi economica, con un milione di libanesi rimasti senza lavoro. Poi c’è stata la pandemia. Adesso questa sorta di bomba. La gente è stremata: non ce la fa più. E da martedì è sotto choc. Tutti ci auguriamo che sia l’ultimo capitolo di un’assurda scia di violenza che da oltre 40 anni macchia il Paese.

Il porto di Beirut, luogo dell'esplosione

Il porto di Beirut, luogo dell'esplosione - Ansa

Un Paese da far ripartire?

Direi da ricostruire: sotto tutti i punti di vista. Va ricostruita Beirut che piange i morti dell’esplosione, che sta curando i suoi feriti, che conta più di trecentomila famiglie prive di un tetto. E va ricostruita l’intera nazione. È vero che chi ci governa deve andarsene. Tuttavia non possiamo accettare di essere così divisi. Il Paese va fatto risorgere in modo nuovo, cancellando la corruzione che è propria delle classi dirigenti ma ha contagiato tutta la popolazione. Occorre che il Libano torni ad essere un modello di convivenza fra fedi e culture differenti, come sottolineava Giovanni Paolo II. Siamo consapevoli di rappresentare un crocevia di interessi geo-politici dove in tanti, dall’esterno, intendono pilotare le sorti dello Stato. Per questo, come suggerisce il patriarca maronita, il cardinale Boutros Raï, l’Onu deve far sì che il Libano sia un Paese neutrale.

A distanza di pochi giorni dall’esplosione, quali sono le urgenze?

Le strade sono piene di detriti. Centinaia di edifici sono distrutti: molti anche legati alla Chiesa. Non abbiamo ancora fatto una ricognizione; però sono state sventrate chiese, conventi, scuole e ospedali d’ispirazione cattolica. Il nosocomio delle Suore maronite avrà bisogno di tre milioni di dollari per essere rimesso in sesto; quello delle suore del Rosario è completamente devastato. La struttura dei Fratelli delle scuole cristiane è stata colpita in modo significativo, come i plessi delle Suore della carità o delle Suore di Nazareth. Abbiamo avuto anche diversi feriti fra le religiose e i religiosi ma soltanto una vittima: una suora iraniana delle Figlie della carità.

Una chiesa danneggiata dall'esplosione a Beirut

Una chiesa danneggiata dall'esplosione a Beirut - Ansa

Come sta reagendo il Paese?

Ringraziamo il Signore per i giovani che sono scesi subito in strada per mettersi a servizio di chiunque avesse necessità. Manca un’organizzazione di fondo, ma sta nascendo una rete di collegamento: è la cosa più bella che abbiamo visto in questi ultimi tempi. Proprio i giovani ci testimoniano che siamo un solo popolo e niente potrà separarci. Tutti insieme intendiamo difendere il Paese e invocare giustizia. La grande manifestazione di ieri ha voluto gridare al mondo che il nostro pane quotidiano non può essere controllato da famiglie di stampo feudale.

In questo frangente qual è l’impegno della Chiesa?

Essere accanto a tutti. Lo sta facendo tramite la Caritas e abbiamo già messo a disposizione le nostre strutture per l’accoglienza di chi non ha più una casa. Sarà un lavoro a lungo termine. La Chiesa italiana, che ci è sempre stata vicina, ci ha già assicurato il suo aiuto. E la ringraziamo di cuore.

Una palazzina danneggiata dall'esplosione a Beirut

Una palazzina danneggiata dall'esplosione a Beirut - Ansa

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