Il 27 dicembre Russia, Turchia e Iran si spartiranno Aleppo. Perché il fatto che all’incontro di Mosca manchino gli Stati Uniti è la certificazione che in Medio Oriente gli equilibri sono cambiati. Lo sono da tempo, ma questo è il sigillo al cambiamento: Mosca, Teheran e Ankara sono i nuovi “padroni” della regione. I tre Paesi hanno truppe nel conflitto siriano e hanno dimostrato l’assenza totale di scrupoli pur di guadagnare posizioni. Soprattutto sulla pelle dei civili.
Per questo ci si dovrà abituare a una lenta spartizione di Aleppo, che sarà una sorta di miniatura del nuovo assetto dell’intera Siria. L’area governativa, retta da Assad ma di fatto tutelata da Russia e Iran che a loro volta esigeranno abbondanti tornaconti. E l’area, a ridosso del confine settentrionale, di completa pertinenza turca. Con buona pace dei curdi, che si trasformeranno in un bersaglio ideale. Da qui a dire che la situazione si stabilizzerà ne passa, anche perché la guerra è ancora lunga e manca la caduta della “capitale” del Califfato, ossia Raqqa.
Inoltre, il filo doppio che lega Siria e Iraq creerà nuove varianti. E a quel punto i tre “padroni” della Siria dovranno fare i conti con il quarto protagonista: gli Stati Uniti di Trump e i “tollerati” peshmerga curdi che hanno a portata di mano quasi la metà delle risorse petrolifere del Paese nella zona di Mosul e del Kurdistan iracheno. Infine il fattore impunità: i miliziani fatti fuggire da Aleppo, con le complicità incrociate di Russia e Turchia, che fine faranno una volta raggiunta la zona di Idlib ancora sotto il controllo dei ribelli? E che fine hanno fatto i jihadisti già fuoriusciti dall’assedio di Mosul? Come la recente storia della regione purtroppo insegna, ben presto torneranno a farsi sentire.