sabato 15 aprile 2017
Al Cairo la veglia della Passione per «non arrendersi al male». Identificato anche il kamikaze di Tanta: pare sia un membro del gruppo terrorista Amr Saad Abbas Ibrahim
La comunità dei copti ortodossi riunita durante la liturgia nella chiesa di Santa Maria del Maadi

La comunità dei copti ortodossi riunita durante la liturgia nella chiesa di Santa Maria del Maadi

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«Se vivo, vivo per Lui. Se muoio, muoio per Lui. Perché dovrei avere paura?». Monika pronuncia la frase con una serietà insolita a 25 anni. Dato che sta per laurearsi in Turismo, è lei a occuparsi dei pellegrini stranieri per conto del «servizio d’ordine auto-organizzato».

È un gruppo di scout che, da sempre, organizza il flusso incessante di turisti e fedeli nella chiesa copto ortodossa della Santa Vergine del Maadi, al Cairo. Una delle più antiche e famose perché fu costruita nel punto esatto in cui la Sacra Famiglia, in fuga da Erode, cominciò il viaggio che, scivolando sul Nilo, l’avrebbe portata nell’Alto Egitto. Non a caso, il nome arabo è «al-Adaweya», la Vergine della barca. Con il rafforzamento delle misure di sicurezza per le stragi della Domenica delle Palme, ora, i volontari scout danno anche una mano ai militari. Dopo il primo check point, sono loro a passare il metal detector su corpo e borse.


La tensione nel Paese è alta: le autorità hanno identificato, dopo quello di Alessandria, anche il kamikaze che ha colpito a Tanta. Il killer – Mamdouh Amyn Mohamed Baghdadi – avrebbe fatto parte della cellula terrorista di Amr Saad Abbas Ibrahim, ancora latitante. I giovani di al-Adaweya, disarmati, però, svolgono la “procedura” con serena leggerezza. Non sono inconsapevoli. Sanno bene che, in caso di attacco, sarebbero i primi a venire massacrati. «Tutti dobbiamo morire. Preferisco farlo servendo Gesù», dice Maggie. La cugina è stata uccisa l’11 dicembre scorso, nell’attentato alla chiesa di San Pietro e Paolo, nel quartiere di Abassiyya. Eppure la giovane, 20 anni, tra una supervisione e l’altra, scherza con l’amico Paul. «Lo vede? Non abbiamo paura. Non avremmo mai permesso ai terroristi di impedirci di celebrare il Venerdì Santo», spiega abuna (padre) Ekimanos.


Il giorno della crocifissione di Gesù è uno dei momenti più forti e caratteristici della liturgia copta, ortodossa e cattolica. Scandito in cinque momenti – o ore –, il rito va avanti dalla mattina al tardo pomeriggio. «Le ore hanno una struttura fissa: lettura dall’Antico Testamento, spiegazione, canto dei Salmi, lettura di un brano del Vangelo della Passione – racconta padre Toma Zaky, rettore del seminario copto cattolico del Cairo –. Nella celebrazione ortossa i tempi si allungano perché tutto viene pronunciato in arabo e in copto».

«Tzoc Teti Gom», «Gloria a Te», intona il primo coro. «Tzoc Teti Gom», risponde il secondo con la stessa voce cupa. È l’ora nona, la più dolorosa, quella della morte di Cristo. La luce viene spenta. E, nel buio, il canto si fa ancora più angosciante. La musica si mescola ai respiri affannati per il caldo della chiesa stracolma: ci sono ben più delle cinquemila persone previste. Le ventole, sul soffitto, provano ad alleviarlo. Invano. L’unico refrigerio arriva dalla brezza del Nilo che scorre appena fuori e, di tanto in tanto, si insinua dalla porta principale. I volti sono concentrati. Assorti. Uomini, donne, bimbi. «Sono qui con i miei due figli, come ogni anno – dice Shenouda –. Sono quanto di più prezioso ho al mondo. Non li esporrei al pericolo inutilmente. Ma so che quanto di meglio posso offrire loro è il Vangelo. Gesù ci insegna a non arrenderci al male. A non permettergli di tenere prigioniere le nostre vite. Per i miei figli voglio la libertà. La libertà del bene».


Il celebrante ha tolto i paramenti neri e li ha sostituiti con quelli bianchi. Sta per cominciare l’ora dodicesima. Quella dell’attesa della Resurrezione. «Tzoc Teti Gom», «Gloria a Te», riprende il canto. Ma stavolta è più gioioso. Una dopo l’altra, le candele rischiarano il buio. «La celebrazione delle ore sta per terminare. Poi, la notte, c’è la “Apocalipsis”, la lunga attesa fino alle prime luci dell’alba, in cui leggiamo l’intero libro dell’Apocalisse – sottolinea padre Toma –. Così ci prepariamo alla veglia pasquale di questa notte». La folla, sorprendentemente ordinata, si avvicina all’uscita. Anche Monika avrà qualche momento di pausa.

«Breve. Poi si ricomincia». Prima di andare via, si toglie le scarpe, come prevede la tradizione, ed entra nella cappella dove è custodita la “Bibbia del miracolo”. Chiamano, così, il libro che il 12 marzo 1976 arrivò sulla riva, ai piedi della chiesa, galleggiando sulle acque del Nilo. Il testo era aperto al capitolo 19 di Isaia. Sulla pagina, l’inchiostro è appena visibile. Solo un verso emerge chiaro: «Sia benedetto l’Egitto mio popolo».

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