Il premier britannico Boris Johnson durante il suo intervento alla Camera dei Comuni: il capo del governo avrebbe tenuto «comportamenti non giustificabili» secondo il rapporto Gray - Ansa / Jessica Taylor / Uk Parliament Handout
Sue Gray, l’alto funzionario pubblico che ha investigato il «party gate», non usa mezzi termini: i festini tenuti a Downing Street durante il lockdown hanno rappresentato un «grave fallimento della leadership» del governo. «Alcuni dei comportamenti tenuti durante questi eventi – è scritto nel suo rapporto – sono difficili da giustificare». Parole pesanti. Il premier Boris Johnson, è noto, è riluttante alle scuse. Ma ieri non ha potuto fare a meno di tornare in Parlamento, ad appena un’ora dalla pubblicazione dell’attesissimo documento, per un altro «mea culpa». «Mi dispiace», ha detto. Il tono sommesso non è durato tuttavia più di un minuto.
Il dossier che deputati e opinione pubblica aspettavano da una settimana è un documento di dodici pagine che sintetizza l’esito delle indagini amministrative condotte su sedici eventi conviviali organizzati al numero 10 di Downing Street – giardino, appartamento, sala riunioni – e al numero 70 di Whitehall, principale sede del governo. Dodici, tra questi, sono quelli finiti anche nel mirino del- Sla polizia metropolitana di Londra, titolare di un’indagine parallela, che ha chiesto, e ottenuto, che il «dossier Gray» fosse diffuso in una versione alleggerita dai profili di reato per non compromettere l’esito delle verifiche. Il materiale raccolto durante l’inchiesta è enorme: secondo alcune fonti, conta 300 foto, 500 pagine di documenti (e-mail, Sms, chat) e i verbali di almeno 70 interrogatori. Le conclusioni mettono a nudo la trascuratezza del lavoro nel cuore della macchina di governo. Approccio su cui, sottolinea Gray, «alcuni avrebbero voluto esprimere preoccupazione ma hanno sentito di essere impossibilitati a farlo». «Sembra che si sia pensato troppo poco a ciò che stava accadendo nel Paese – aggiunge – e ai rischi che [gli eventi] presentavano per la salute pubblica». «Alcuni incontri – conclude – non avrebbero dovuto essere organizzati».
Il premier si è assunto la «piena» responsabilità di quanto denunciato dall’indagine. Ma non ha capitolato. Ha annunciato «modifiche al modo in cui Downing Street e l’ufficio di gabinetto funzionano » promettendo di risolvere il pasticcio. «Lo faremo», ha garantito, perché «il nostro governo ha già dimostrato di poter realizzare cose impensabili». Puntuale, poi, è tornato a ricordare di aver compiuto la Brexit e di aver portato il Regno Unito nell’era post-Covid.
Il «party gate» entra adesso nella sua fase più delicata. Spetta ai deputati Tory decidere se accettare le scuse di Johnson e voltare pagina oppure presentare ai «saggi» del Comitato 1922 le lettere di sfiducia. Ne occorrono 54 per avviare le procedure che potrebbero portare all’elezione di un nuovo leader di partito e di governo. La via di mezzo è attendere l’esito dell’inchiesta di Scotland Yard perché allora, è la promessa di Downing Street, il dossier Gray verrà pubblicato nella versione integrale. Il premier è convinto di poter superare la tempesta. Ma le reazioni di alcuni colleghi di maggioranza, in un’aula gremita come non si vedeva da tempo, suonano come un cattivo presagio. L’ex premier Theresa May ha attaccato Johnson con sofisticata ironia: «Non aveva letto le regole, o non le aveva capite, o non pensava che si applicassero a lui». Gli ha dato addosso anche Andrew Mitchell, un veterano Tory che ha sempre difeso il premier a spada tratta. «Oggi – ha detto – non gode più del mio sostegno ». In serata, il primo ministro ha voluto incontrare i colleghi deputati faccia a faccia per cercare di riconquistare la loro fiducia. Uno degli ultimi assi nella manica da giocare potrebbe essere un ripensamento sull’obbligo del vaccino contro il Covid-19 per il personale sanitario. «Sono quasi morto per il coronavirus», pare abbia ricordato durante il confronto. Come potete, è il senso dell’uscita, negarmi un’altra possibilità?