mercoledì 3 gennaio 2024
Beirut e Teheran minacciano conseguenze. Sciopero nei Territori. E il numero 2 di Hamas congela il negoziato sugli ostaggi
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lo spettro del contagio aleggia per il Medio Oriente. Il giorno dopo l’uccisione a Beirut da parte delle forze armate israeliane del numero 2 di Hamas, Saleh al-Arouri, il rischio di un’escalation non è mai stato tanto alto dall’inizio del conflitto, il 7 ottobre. Tre sono i quadranti che il primo attacco estero nei confronti di un leader del gruppo islamista rischia di incendiare. In primo luogo, il Libano, il cui equilibrio politico è oltremodo fragile. Finora Hezbollah, la milizia filo-iraniana alleata di Hamas, ha cercato di contenere il livello dello scontro con i militari di Gerusalemme. Gli scambi di fuoco si susseguono lungo la linea di confine ma senza troppa convinzione. Il blitz di martedì potrebbe cambiare lo scenario. L’esercito israeliano – Tzahal, dall’acronimo – ha colpito nel profondo del territorio libanese, a Dahah, quartiere sud della capitale e roccaforte di Hezbollah dove Arouri si muoveva in cauta sicurezza, in quanto ospite personale del capo del Partito di Dio, lo sceicco Hasan Nasrallah. Era stato proprio quest’ultimo – già prima del 7 ottobre – a definire «una linea rossa» un’incursione di Gerusalemme sul proprio territorio. Ieri, dopo le condoglianze «per la morte del nostro caro fratello», vittima «di un’evidente aggressione israeliana» lo sceicco ha avvertito che « la resistenza» armata di Hezbollah «in Libano è più pronta che mai ad affrontare il nemico». E poi ha aggiunto: «Se Israele pensa di lanciare una guerra contro il Libano, combatteremo senza limiti e senza regole».

Le mosse di Hezbollah, in ogni caso, dipendono dal suo sponsor, ovvero l’Iran. La retorica anti-israeliana di Teheran è incendiaria. E Gerusalemme non è da meno. Poco più di una settimana fa, il ministro della Difesa, Yoav Gallant, si è riferito, pur senza citarlo esplicitamente, all’Iran come il «settimo fronte», oltre a Gaza, Libano, Siria, Cisgiordania, Iraq e Yemen, con cui Israele è in conflitto. Nella pratica, però, i due nemici storici hanno cercato di tenersi fuori dalla contesa. Le ultime 48 ore rimescoleranno le carte? Non si tratta più solo di Arouri. Ieri due bombe hanno insanguinato le celebrazioni nel quarto anniversario della morte di Qassem Soleimani, vittima di un drone Usa nel 2020. Un attacco terroristico di cui il vice-presidente, Mohammed Mokhber, ha accusato «il regime sionista». Con quali implicazioni, comunque, per ora, non è chiaro.

Arouri non era solo il collegamento tra Hamas – in particolare il suo capo politico, Ismail Haniyeh – e Hezbollah. Era anche il ponte con al Cisgiordania, di cui era originario, e i rivali di Fatah. Proprio i solidi legami costruiti nei Territori spiegano la reazione forte alla notizia della sua uccisione. Ieri, da Ramallah a Jenin, è stata proclamata una nuova giornata di sciopero generale. Scuole, uffici pubblici, negozi sono rimasti chiusi in segno di lutto. E vari esponenti di Fatah hanno espresso solidarietà ad Haniyeh. La mobilitazione si inserisce in un quadro di tensione crescente nei Territori, bersaglio dei continui raid dell’esercito israeliano a “caccia” di sostenitori di Hamas. Anche ieri altri quattro giovani sono stati arrestati al campo di Nur al-Shams di Tul Karem, portando così a quota 2.570 i palestinesi fermati nelle ultime dodici settimane. Oltre 320 – di cui un terzo minori – sono stati uccisi negli scontri. Alla pressione si somma poi il blocco della Cisgiordania con la sospensione dei permessi di lavoro per i quasi 200mila residenti impiegati a Israele e ora rimasti disoccupati. Meno di diecimila sono potuti tornare in servizio. Un colpo durissimo per l’economia già provata dei Territori che il malcontento sta trasformando in una polveriera. C’è, inoltre – e non è di poco conto –, il “fronte interno”, ovvero il nodo dei 129 ostaggi israeliani sequestrati il 7 ottobre e ancora nelle mani di Hamas. Il blitz a Beirut ha fatto saltare i colloqui in corso, sotto l’egida di Egitto e Qatar, per il loro rilascio in cambio di un cessate il fuoco e la liberazione di detenuti palestinesi. Hamas si è subito tirata fuori e Il Cairo ha congelato la propria mediazione. Una grana non da poco per il premier Benjamin Netanyahu incalzato dai parenti dei rapiti, al fianco dei quali è schierata l’opinione pubblica nazionale. Vi è, infine, una variabile impazzita i cui comportamenti risultano in gran parte imprevedibili. I ribelli yemeniti Houthi, alleati dell’Iran, con i loro attacchi nel Mar Rosso alle navi considerate filo-israeliane rischiano di provocare una forte reazione internazionale, preoccupata per il blocco del commercio internazionale.

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