Il distretto finanziario di Seul - ANSA
Da queste parti li chiamano “marsupiali”. Ragazzi/e o giovani adulti/e che vivono con i genitori o, nel caso abbiano lasciato il nido domestico, non siano economicamente autosufficienti. Non sono eccezioni o occorrenze solitarie, ma costituiscono il 66 per cento dei sudcoreani di età compresa tra i 25 e i 34 anni. Il 73,4% è senza diploma universitario, mentre il 69,4% proviene da Seul o dalla sua area metropolitana.
Kim Young-joon ha 30 anni e appartiene di fatto “alla tribù dei canguri”. "I miei genitori – ha raccontato al Korea Times - dicono che è stressante vedermi gironzolare a casa giorno e notte, ma così feriscono i miei sentimenti. Temo che questa situazione peggiorerà man mano che invecchierò, perché diventa più difficile trovare un lavoro dignitoso e diventare finanziariamente autosufficienti”.
A loro poco si addice la (sprezzante) definizione di bamboccioni: secondo gli esperti, i ragazzi che scelgono o sono costretti a disertare il mondo del lavoro, sfuggendo alla sempre più feroce competizione che “elettrizza” la vita professionale - sono in qualche modo il sintomo di una società attraversata da stridenti contraddizioni. All’inizio degli anni ’60, il 40% della popolazione sudcoreana viveva in assoluta povertà. Nel 1996 il Paese è entrato a far parte del club dei paesi ricchi, l’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. E oggi la Corea del Sud è uno dei Paesi più ricchi del mondo con un reddito pro capite di 35.000 dollari. Nel 1945, il tasso di alfabetizzazione del paese asiatico era inchiodato al 22%, uno dei più bassi al mondo. Nel 1970 era schizzato al 90%. La Corea, che detiene il triste primato del Paese con la più bassa natalità al mondo, è anche quello che ha il tasso di suicidi più alto tra i 38 membri dell’Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico. E se non bastasse, la cosiddetta “morte per superlavoro” ufficialmente miete circa 500 vite ogni anno, anche se la cifra reale potrebbe essere ben più alta. "Il costo della gestione della tribù dei canguri – nota Jeon Young-soo, professore alla Scuola di specializzazione in studi internazionali dell'Università di Hanyang - aumenterà man mano che le persone coinvolte invecchiano e i loro genitori vanno in pensione, perché alla fine il governo dovrà sostenerli e aiutarli letteralmente a sopravvivere".
Qualunque siano le lenti attraverso le quali si legge il fenomeno, la iper competitiva società sudcoreana lascia indietro sempre più i suoi figli. Oltre ai "marsupiali", ci sono i cosiddetti Neet: “né nell’istruzione, né nel lavoro, né nella formazione”, ragazzi che sono fuori dal mondo del mercato – e che non cercano un impiego - così come da quello educativo.
Dall’ottobre 2023, la popolazione Neet della Corea del Sud è salita a oltre 410.000, costituendo circa il 4,9% del gruppo demografico nazionale di età compresa tra 15 e 29 anni, un gruppo spesso trascurato nelle tradizionali statistiche sulla disoccupazione, che contano solo coloro che cercano attivamente lavoro.
Inevitabili le ricadute economiche. Un rapporto del 2021 del Korea Economic Research Institutes stima che l’impatto annuale di questo gruppo demografico sia di circa 52 miliardi di dollari (61,7 trilioni di won), pari al 3,2% del Prodotto interno lordo.
Tra i nodi che rischiano di stringersi attorno ai giovani sudcoreani, uno è storicamente "pressante": è il capitolo istruzione. Seul registra uno dei tassi di ammissione all'università più alti tra i Paesi Ocse, con il 73,3% dei diplomati delle scuole superiori che si iscrivono agli istituti di istruzione superiore a partire. “Ciò ha portato a una situazione unica in cui il 45% dei giovani Neet del Paese hanno un qualche tipo di istruzione terziaria”. Un’anomalia di un sistema educativo che esercita enormi pressioni sugli studenti. “I coreani trattano l’istruzione semplicemente come uno strumento per aiutarci a garantire posti di lavoro ben pagati”, ammette Lee, impiegato di 29 anni.