"È terribile" che l'audizione a porte aperte di Michael Cohen di fronte al Congresso sia stata fissata in coincidenza "con questo vertice cosi importante". Alla fine lo ha notato pure Donald Trump quanto infausta, per lui, sia stata la coincidenza tra i due eventi. Mentre a Washington il suo ex legale lo definiva “un razzista, truffatore e imbroglione”, uno che “ha mentito all'America”, ad Hanoi andava in scena l’attesissimo summit con il leader supremo nordcoreano Kim Jong-un, ma con risultati ben diversi da quelli che il presidente Usa aveva sperato. Di più: a completamento del momento complicato vissuto da Trump, non mancano le difficoltà nelle trattative con la Cina riguardo ai dazi sui prodotti made in China. E il tutto mentre la Camera, controllata dai democratici, ha già approvato una risoluzione con cui blocca la dichiarazione di emergenza nazionale che era stata voluta dalla Casa Bianca per ottenere i fondi necessari al muro al confine del Messico.
Trump, insomma, sembra navigare a vista, in cerca di un qualsiasi successo con cui lanciare la nuova campagna per la rielezione nel 2020 contro un nutrito gruppo di candidati democratici già in pista. Eppure, pur dominando ancora l’agenda politica, rischia di trovarsi su più fronti con un pugno di mosche in mano. Cohen ha ammesso davanti al Paese di essere stato per anni il suo tuttofare senza scrupoli: Trump, ha sostenuto, “non voleva fare il presidente ma vendere il suo marchio. E mi vergogno di aver preso parte ai suoi illeciti invece di ascoltare la mia coscienza”. Sulla possibile collusione con la Russia ha parlato solo di "sospetti", ma ha portato davanti ai deputati della commissione vigilanza della Camera le prove di molte delle bugie di Trump: quella sui pagamenti per nascondere le relazioni con due donne, quella sulle email di Wikileaks per danneggiare Hillary Clinton e quella sui negoziati con i russi per costruire una Trump Tower a Mosca.
Poche ore dopo, ad Hanoi, il vertice con Kim Jong-un da quale Trump aveva annunciato sarebbero scaturiti “risultati epocali” si concludeva dopo appena mezzora di colloquio tra i due leader e in anticipo sui tempi previsti. "Sostanzialmente – ha spiegato il presidente Usa - volevano la cancellazione delle sanzioni nella loro totalità, ma noi non potevamo farlo". Difficile, però, che il nodo non fosse già stato sollevato dai diplomatici nel lavoro di preparazione del vertice. Qualcosa, quindi, deve essere andato storto nelle ultime ore. La figuraccia, però, sicuramente resta.
Come restano le distanze con Pechino sul dossier dei dazi commerciali. Prima di volare ad Hanoi, il capo della Casa Bianca ha annunciato il rinvio della scadenza che era prevista per domani per l’aumento dal 10% al 25% dei dazi su 200 miliardi di dollari di prodotti cinesi. Si è trattato di una mossa attesa, giunta proprio nel tentativo di spianare la strada a un’intesa tra le due superpotenze. Le Borse mondiali hanno brindato, ma le preoccupazioni, anche nell'entourage di Trump, sono tante, e legate alle differenze non da poco ancora presenti sul tavolo dei negoziati. Il rischio - non nascondono molti esperti e commentatori statunitensi - è quello di un'intesa "al ribasso" che non affronti affatto o solo in minima parte le reali questioni poste dagli Usa, a partire da profonde riforme strutturali dell'economia cinese.
Si teme, insomma, che i risultati sperati possano essere sacrificati sull'altare di un accordo che Trump sembra ora volere a tutti i costi: perché il dossier della Cina (come quello della Corea del Nord o del muro al confine con il Messico) serve alla Casa Bianca per affermare una immagine di leader forte, affidabile e credibile in vista delle presidenziali. Così - spiegano fonti vicine al negoziato - si lavora ad un testo di circa 100 pagine che però sono ancora tutte da riempire in più punti cruciali. Trump su Twitter parla di "sostanziali progressi" su temi come "la protezione della proprietà intellettuale, il trasferimento di tecnologie, l'agricoltura, i servizi e i cambi", ma senza fornire alcun dettaglio. In realtà i colloqui sarebbero ancora in alto mare su punti cruciali come i sussidi e gli aiuti di Stato alle aziende a cui Pechino non sembra voler rinunciare.