martedì 14 febbraio 2017
L'Onu: servono al più presto 1,6 miliari di dollari. «Task force» delle Ong. È una corsa contro il tempo
Le agenzie umanitarie presenti in Africa hanno istituito un «Humanitarian response plan» per individuare e intervenire nelle zone più a rischio del Continente

Le agenzie umanitarie presenti in Africa hanno istituito un «Humanitarian response plan» per individuare e intervenire nelle zone più a rischio del Continente

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Le organizzazioni umanitarie stanno facendo appello per 1,6miliardi di dollari per il Sud Sudan. Fondi che vanno trovati ora, nel 2017. La situazione nel Paese è peggiorata a causa della micidiale combinazione tra conflitto civile, crisi economica e fenomeni legati al cambiamento climatico. Stiamo affrontando una serie di bisogni senza precedenti». Le parole di Eugene Owusu, il rappresentante Onu per il coordinamento umanitario in Sud Sudan, vogliono raggiungere al più presto le coscienze dei Paesi donatori. La popolazione sudsudanese è in preda alla più profonda disperazione. Secondo stime ufficiali, sono almeno 7,5 milioni i civili che hanno bisogno di assistenza e protezione. Le scarse piogge dell’anno scorso hanno ridotto i campi coltivabili in cimiteri per il bestiame. In varie zone del Paese, teatro di una guerra civile dal 2013, i raccolti sono stati minimi e i mercati sono ora vuoti. La gente sta scappando in ogni direzione. Le agenzie umanitarie sul campo hanno subito istituito un “Humanitarian response plan (Hrp)” per rispondere il prima possibile alla crisi prendendo di mira le aree più a rischio. E, paradossalmente, il rischio pià grosso, a breve, per queste popolazioni colpite dalla siccità, saranno le piogge.

«Stiamo approfittando di quello che resta della stagione secca per distribuire velocemente via terra tutti gli aiuti di cui disponiamo», ha sottolineato Owusu. Durante la stagione delle piogge, che dovrebbe iniziare a maggio, i costi per le operazioni umanitarie si alzano vertiginosamente a causa delle strade non percorribili e della necessità di utilizzare i voli aerei per le distribuzioni. Sono 137 le agenzie umanitarie, il 55% in più rispetto al 2016, tutte pronte ad essere coinvolte nel Hrp di quest’anno. In Etiopia, dove rispetto al 2016 il governo è riuscito a dimezzare il numero di bisognosi, al momento circa 5milioni, diverse organizzazioni locali e straniere stanno lavorando senza sosta. «Abbiamo iniziato ad avviare attività preventive che consentono di dotare il sistema degli strumenti per reagire prontamente anche a squilibri futuri», spiega Fabio Bellumore, responsabile dell’ufficio comunicazione presso Amref. «Stiamo intervenendo in collaborazione con l’organizzazione Action Aid soprattutto nella regione settentrionale di Amhara creando infrastrutture idriche funzionali alla gestione dell’acqua. Inoltre – continua Bellumore – sono state costruite cisterne d’acqua e pozzi per 1.360 nuclei familiari e abbiamo formato 454 membri degli “eserciti della salute” per rafforzare i sistemi sanitari». Nel vicino Kenya, invece, dove il governo ha appena dichiarato la siccità un «disastro nazionale», Avsi sta combattendo contro la crisi nella regione orientale dell’East Pokot poiché non piove dall’ottobre scorso.

«La nostra rete di operatori sul campo si è immediatamente attivata per far fronte all’emergenza e ha individuato le fasce di popolazione che necessitano di sostegno con maggiore urgenza – ha dichiarato ad Avvenire Andrea Bianchessi, a capo di Avsi in Africa orientale –. In Italia abbiamo quindi subito lanciato una campagna di raccolta fondi per riuscire ad aiutare soprattutto i più piccoli con cibo e acqua attraverso il sostegno a distanza». Inoltre, Avsi ha costruito cisterne per la raccolta dell’acqua piovana e si sta preoccupando di promuovere un’attenzione più sul lungo termine. «Stiamo recuperando e costruendo diverse scuole – conclude Bianchessi –, così da permettere a tanti bambini tra i 3 e 11 anni di imparare, ricevere cure mediche gratuite, e, per i loro genitori, occuparsi di attività generatrici di reddito». Verso l’Africa dell’Ovest, la miscela di guerra civile e siccità sta invece colpendo duramente il nord-est della Nigeria. Le Nazioni unite hanno ribadito che «oltre 120mila nigeriani saranno in condizioni da carestia causate dai jihadisti di Boko Haram e – spiega un recente rapporto Onu –, 11 milioni stanno affrontando quest’anno una seria mancanza di cibo». Una notizia positiva riguarda però un aumento del 5% della produzione di cereali durante il 2016. L’Organizzazione Onu per il cibo e l’agricoltura (Fao) ha dichiarato che, nonostante tutte le difficoltà, «il governo nigeriano ha dato un sostegno più adeguato al settore agricolo».

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