venerdì 5 aprile 2024
Nella città, blindata da 3.600 agenti, si percepiva nervosismo per il rischio di attacco da Teheran. Qualcuno faceva scorta di cibo e generatori. Anche l'ambasciata di Roma fra le 28 chiuse
I fedeli islamici in preghiera ad al-Aqsa nell'ultimo venerdì di Ramadan

I fedeli islamici in preghiera ad al-Aqsa nell'ultimo venerdì di Ramadan - Reuters

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«Pensate attentamente a chi vince quando ci dividiamo». Sotto la scritta, in ebraico, spiccano i volti accigliati di Hassan Nasrallah e di Yahya Sinwar, capi, rispettivamente, di Hezbollah e di Hamas. I due nemici esterni per antonomasia di Israele. Il cartellone ricopre un lato dell’hotel Jerusalem Garden, non lontano dalla Knesset. Ed è al presidio ancora accampato di fronte a quest’ultima e alle altre decine di migliaia presenti nei giorni scorsi che il messaggio è rivolto. Una risposta a un altro manifesto appeso qua e là per Gerusalemme. Quello con lo slogan della protesta – «Tu sei il capo, tu sei il colpevole – accanto alla foto di Benjamin Netanyahu. Tanti accusano il governo di agitare lo spettro della minaccia iraniana per “tenere buona” un’opinione pubblica sempre più insofferente. Il raid di lunedì su un edificio adiacente all’ambasciata di Teheran a Damasco, in cui sono morti sette vertici dei pasdaran, ha realmente innalzato la tensione. E le minacce – al momento solo verbali – di Nasrallah acuiscono i timori. In tv, ieri, il leader della milizia sciita libenese ha parlato di «ineluttabile risposta» da parte della Repubblica islamica. Anche se – ha ribadito – «solo l’ayatollah Ali Khamenei può decidere come, dove e quando». Parole che hanno aggiunto una nota sinistra a un giornata già di per sé difficile per la città santa per le tre religioni monoteiste. L’ultimo venerdì di Ramadan – il cui termine è previsto mercoledì – si celebra “al-Quds”, il giorno di Gerusalemme, istituito all’indomani della Rivoluzione di Khomeini in sostegno alla causa palestinese.

Un momento simbolico forte per colpire. Per questo, dall’inizio della settimana, le autorità israeliane hanno innalzato le misure di sicurezza, a partire dal blocco dei congedi per i soldati impegnati in unità di combattimento. Gps e WhatsApp vanno a singhiozzo. I telegiornali ricordano che i cittadini hanno undici minuti di tempo per raggiungere un rifugio anti-aereo in caso di lancio di un missile dal territorio iraniano.

E le strutture pubbliche, negli ultimi giorni, hanno moltiplicato le prove di evacuazione. Soprattutto, nel timore di rappresaglie, ieri sono state chiuse ventotto ambasciate, tra cui quella di Roma. Non sorprende, dunque, che in città ieri si respirasse un nervosismo diffuso. Il Jerusalem mall, principale centro commerciale nel quartiere di Malja, poco prima di Betlemme, era affollato. Normale per un fine settimana. Nei negozi di elettrodomestici e articoli per la casa, però, tanti acquistavano generatori e batterie. «Ne ho già venduti due questa mattina», dice un commesso che preferisce restare anonimo. I clienti del supermercato attiguo avevano i carrelli pieni di cibo in scatola, latte, riso, fagioli. «Ma non è per la guerra – taglia corto un uomo sulla cinquantina –. Qui non abbiamo paura di niente». «Beh meglio essere preparati», sussurra una giovane ultraortodossa. La fibrillazione cresceva man mano che ci si avvicinava, facendo la ginkana tra le varie strade chiuse, alle mura di Gerusalemme vecchia. Oltre centomila fedeli sono arrivati da tutto il Paese e anche dalla Cisgiordania – in questo caso, però, solo donne, bambini e over50 – per la preghiera alla moschea di al-Aqsa, luogo sacro per l’islam e, al contempo, punto di frizione con gli ebrei, perché costruita sulle rovine del primo Tempio. Con i tappetini sottobraccio, fin dalla prima mattina, scendevano dai pullman, dalle moto, dalle auto e procedevano cercando di farsi spazio in mezzo alla folla lungo le scale in pietra fino alla Porta di Damasco, il principale accesso per al-Aqsa. Ad accoglierli bancarelle e mendicanti in attesa della “zakat”, l’elemosina, uno dei doveri indicati nel Corano. Ovunque, militari e poliziotti: in 3.600 sono stati schierati a presidio dei punti sensibili. Molti hanno lasciato la moschea nel primo pomeriggio, altri sono rimasti per la notte più importante dell’anno nel calendario musulmano, Laylat al-Qadri. Come gli altri venerdì, non ci sono stati scontri, probabilmente per i controlli senza precedenti che hanno provocato le critiche delle autorità islamiche. Undici persone sono state arrestate per avere scandito slogan «inneggianti al terrorismo». Un ambulante si siede a fumare sui gradini vicini alla Porta di Damasco dopo la propria bancarella, a fine giornata: «È andata – dice –. Alm eno per ora".

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