Bernie Sanders (Ansa)
In attesa che scenda in campo uno dei pesi massimi, l’ex vice presidente Joe Biden, va ormai delineandosi il campo dei candidati democratici per le primarie (sono già 14) in vista delle presidenziali del 2020. Tra candidati che fanno sul serio e altri che approfitteranno della competizione solo per acquisire notorietà in vista di una campagna per un posto da governatore o in un’eventuale futura Amministrazione democratica, la novità è che due dei “big” si sono già fatti da parte, Hillary Clinton e l’ex sindaco di New York Michael Bloomberg. Ma se per l’ex first lady qualche avvisaglia c’era già stata, a sorprendere è stato l’addio, prima ancora di combattere, del miliardario Bloomberg, che molti consideravano una vera minaccia per la rielezione di Donald Trump. «Penso che avrei battuto Donald Trump all’elezione generale – ha scritto in un editoriale l’ex sindaco di New York –. Ma sono consapevole della difficoltà di vincere la nomination democratica in un campo così affollato».
Bloomberg aveva flirtato con la presidenza già nel 2016 come indipendente, mentre lo scorso autunno si era iscritto al partito dell’Asinello per sondare il terreno tra i democratici. Il 77enne centrista miliardario, fortemente legato a Wall Street, non ha intravisto però molte chance in un partito dalla base sempre più liberal, giovane e aperta alla diversità. Non è un caso se Bloomberg, dopo aver definito Trump «una minaccia per il Paese», abbia esortato i democratici a non svoltare troppo a sinistra. «Non possiamo consentire al processo delle primarie di trascinare il partito all’estremismo, riducendo le nostre possibilità di vittoria all’elezione generale», ha ammonito l’ex sindaco.
In attesa di Biden, 76 anni, anch’egli centrista con oltre tre decenni trascorsi in Senato, molti degli attuali candidati sono sempre più ispirati dall’ala progressista del partito e si presentano con programmi di ampie riforme sociali, prima tra tutte l’assistenza sanitaria pubblica per tutti e la contrarietà al pugno duro di Trump sull’immigrazione. Le donne sono già sei, un numero record: le senatrici Kamala Harris, Elizabeth Warren, Kirsten Gillibrand e Amy Klobuchar, la deputata Tulsi Gabbard e l’attivista Marianne Williamson. Tra gli uomini, l’ispanico ex segretario alla Casa e allo Sviluppo urbano Julián Castro, il senatore del New Jersey Cory Booker e, soprattutto, colui che contese a Hillary Clinton la nomination nel 2016, il “socialista” Bernie Sanders. Quattro anni dopo, però, ci si chiede quanto il senatore del Vermont sia ancora in grado di catalizzare tutto quel consenso, che in gran parte aveva coagulato anche per la semplice ostilità di molti elettori nei confronti dell’ex first lady.
Molti altri nomi noti, peraltro, stanno vagliando il da farsi. Si va dall’attuale sindaco di New York Bill de Blasio al governatore dello Stato di New York Andrew Cuomo, dall’ex candidata a governatrice della Georgia Stacey Abrams a Beto O’Rourke, ex candidato a un posto da senatore in Texas. Gli analisti, però, si chiedono soprattutto cosa farà Biden, molto amato dalla classe media e dai democratici moderati. L’ex vice presidente potrebbe riprendere un discorso interrotto per motivi drammaticamente personali nella scorsa tornata elettorale a causa della morte del figlio 46enne Beau, avvenuta nel maggio 2015 per un tumore al cervello proprio nel periodo in cui si decidevano le candidature. L’annuncio di una sua discesa in campo sarebbe imminente: in quel caso diventerebbe il favorito numero uno, anche se da qui all’inizio delle primarie mancano ancora undici lunghissimi mesi in cui ogni pronostico potrà essere ribaltato.