giovedì 12 ottobre 2023
Lo studioso di Medio Oriente analizza lo scenario della guerra. A suo avviso anche Hezbollah non spingerà per un suo allargamento perchè potrebbe essere controproducente per il suo futuro
Manifestazione pro Hamas

Manifestazione pro Hamas - ANSA

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«Nutro un po’ d’ottimismo su un solo punto: non credo che questo conflitto possa estendersi al di là del Medio Oriente». A dirlo è Frédéric Encel, fra i maggiori studiosi francesi di geopolitica mediorientale, docente a Parigi presso Sciences-Po e autore di numerosi saggi dedicati a Israele e al conflitto israelo-palestinese, come Atlas géopolitique d’Israël (Autrement).

Si parla di «11 settembre d’Israele». Cosa ne pensa?

Nella percezione degli israeliani, in proporzione, è appena avvenuto un dramma persino peggiore dell’11 settembre vissuto dagli americani. Ma non si tratta solo di una questione di bilancio delle vittime rispetto alla popolazione totale: a sconvolgere è stata la stessa natura di quanto accaduto. Non si è trattato solo di un attacco militare ma di un massacro vissuto dagli israeliani come un vero pogrom, perché mai prima d’ora Hamas aveva messo così nel mirino gli ebrei, e con loro lo Stato d’Israele. Dal 1948 è la prima volta che qualcosa del genere avviene all’interno dello Stato d’Israele. Per questo, la rabbia della popolazione israeliana è a un punto d’incandescenza che mi pare senza precedenti. Gli israeliani sanno bene che nei testi costitutivi di Hamas gli ebrei sono qualificati come scimmie e maiali...

Stiamo assistendo a uno stravolgimento di scenario?

Sì. Anche riguardo alla gestione di Hamas da parte d’Israele. Finora Israele riteneva di fronteggiare una forza qualificabile come nemico militare, adesso ha solo l’obiettivo d’annientare Hamas, anche a costo di invadere Gaza.

Da più parti Hamas è paragonato all’Isis. Prendono corpo sospetti assai concreti...

Esistono certamente una nebulosa e un sistema jihadista mondiali. Inoltre, in termini di modalità d’azione, crudeltà e simboli, i paragoni fra i due emergono spontaneamente. E sono condivisibili. Possono pure esserci convergenze nelle strategie. Ma per il momento l’ipotesi di un asse operativo e di un legame organico Hamas-Isis non è suffragata da prove, anche se Hamas sembra fare il massimo per farlo credere. Nel caso di Hamas, la miccia degli attacchi pare la volontà feroce d’impedire un avvicinamento diplomatico fra Israele e Arabia Saudita. Inoltre, rispetto all’Isis, l’ecosistema di Hamas è rimasto finora locale, senza cellule sparse per il mondo.

Gli ostaggi sono di molte nazionalità. Questo può aggravare i rischi d’estensione del conflitto?

Non credo. Dal 1948 anche guerre israelo-arabe ben più imponenti in termini di dispiegamenti militari sono rimaste confinate su scala regionale. Ritengo che oggi abbiamo a che fare con un conflitto molto localizzato fra Israele e Hamas. Evidentemente non mancano ripercussioni mondiali, come dimostrano i nuovi picchi di atti antisemiti constatati anche altrove, ma non dimentichiamo che per manifestarsi su scala planetaria il fenomeno dell’antisemitismo non ha bisogno di restare sintonizzato sul conflitto israelo-palestinese. Anche se in proposito è vero che certe voci pseudo-accademiche, come avviene in Francia, perseverano in modo irresponsabile nel soffiare sul fuoco.

Si teme anche sugli altri fronti ai confini d’Israele. Paure legittime?

Certo. Ma occorre anche dire che, come tutti gli Stati della regione, ogni organizzazione ha i propri obiettivi e interessi. Quelli di Hezbollah, in particolare, sono libanesi. E di fronte a uno Stato d’Israele disposto oggi a impiegare mezzi straordinariamente distruttivi non credo che Hezbollah, al di là di qualche reazione simbolica, intenda esporsi fino in fondo per sostenere Hamas.


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