Un'altra guerra in Africa con l'intervento dei ricchi e ipoveri sono di nuovo in fuga - Ansa
Presentata come una guerra lampo, l’offensiva dell’esercito governativo etiope nel Tigrai contro il Tplf – il Fronte di liberazione popolare tigrino –, è giunta al diciottesimo giorno di combattimenti. E sempre più oscurati dal blackout comunicativo e dalle prime ritorsioni contro le agenzie di stampa internazionali indipendenti. L’autorità per le comunicazioni etiope ha infatti sospeso la licenza di trasmettere al corrispondente della Reuters, accusato di «faziosità». Ma i pochi squarci al velo calato da Addis Abeba sul conflitto rivelano autentici orrori e sofferenze di innocenti.
Non si conosce il numero delle vittime, si sa invece che l’operazione di sicurezza per ristabilire la legalità, come viene presentata dal premier etiope Nobel 2019 per la pace Abiy Ahmed, ha provocato la repentina fuga in Sudan di 40mila persone che Unhcr/Acnur, agenzie umanitarie ed autorità locali non erano preparate ad accogliere: così ora l’Onu sta approntando un nuovo piano di emergenza per quasi 200mila disperati. E il segretario generale Guterres chiede un cessate il fuoco per creare corridoi umanitari e raggiungere le persone isolate.
Rifugiati in fuga dell'ennesimo conflitto. Ecco perché continau ad aumentare la pressione dei migranti sull'Europa - Ansa
Mancano le cure sanitarie per donne incinte, anziani e ammalati. Scarseggiano tende, docce, bagni e acqua potabile per i fuggitivi che hanno raccontato a agli operatori umanitari, come quelli del consiglio norvegese per i rifugiati, e ai pochi reporter presenti nella regione orientale sudanese, i drammi quotidiani di madri separate dai bambini, di fughe da bombardamenti e massacri, di blocchi allestiti dagli etiopi per impedire di raggiungere il confine. Molti soffrono di stress post traumatico per aver assistito a violenze estreme.
Secondo testimonianze raccolte da “The New Humanitarian”, vi sarebbero state vere e proprie operazioni di “caccia al tigrino” a Humera mentre il massacro di almeno 500 civili uccisi la scorsa settimana a colpi di asce e machete a Mai Kadra sarebbe opera delle milizie Amhara, nemici dei tigrini anche per dispute territoriali e che stanno combattendo con le proprie milizie a fianco delle truppe federali, e non dal Tplf come, pur con diverse cautele, sospettava invece Amnesty International.
Lo scenario del conflitto - L'ego
Ieri il Tplf ha lanciato un attacco missilistico senza causare vittime sulla città di Bahir Dar, nella regione Amhara. Confermato il bombardamento di giovedì sull’università di Macallè che avrebbe causato la morte di diversi studenti. L’esercito etiopico, che doveva entrare ieri a Macallè, sarebbe fermo da 24 ore a Korem, 170 chilometri a sud del capoluogo tigrino, bloccato dalle difese sulle montagne. Il governo regionale del Tplf ha detto che gli etiopi troveranno l’inferno facendo intendere che si sta preparando una guerriglia prolungata.
Proprio quella che farebbe più danni all’Etiopia, alla quale le previsioni degli analisti economici iniziano a prospettare un brusco calo del Pil e la fuga degli investitori internazionali causa conflitto. Dopo il bombardamento di Asmara sulla quale sono stati lanciati dal Tplf tre razzi una settimana fa, il conflitto si è internazionalizzato e potrebbe destabilizzare il fragile Corno d’Africa. Testimonianze raccolte da Yakl, il movimento di opposizione alla dittatura eritrea affermano che Asmara non si è limitata a offrire appoggi logistici alle truppe di Abiy Ahmed contro i comuni nemici tigrini.
«Militari eritrei – conferma Desbele Mehari, uno dei responsabili in Italia di Yakl – combattono in Tigrai nella zona a sud del confine, inoltre negli ospedali di due città eritree, Senafe e Keren, sono ricoverati molti soldati etiopi ed eritrei». L’Eritrea non combatte solo per annientare il Tplf.
Bambini vittime dei giochi dei grandi - Ansa
C’è anche la spinta di Arabia Saudita ed Emirati Arabi. Questi ultimi stanno facendo decollare i droni dalla loro base eritrea ad Assab per colpire il Tigrai.
I Paesi del Golfo, che vollero la pace tra Abiy e l’eritreo Isaias Afewerki nel 2018, sono interessati a stabilizzare l’Etiopia per ragioni economiche e per controbilanciare la presenza turca in Somalia. Nella quale, però, sono dislocati contro i jihadisti almeno 15mila soldati che Abiy potrebbe dover ritirare. La priorità comune è chiudere in fretta la partita a Macallè. Solo l’Egitto, che venerdì ha ricevuto il ministro degli Esteri di Asmara, non è filo-etiope per l’annosa questione della diga Gerd e potrebbe cantare fuori dal coro.