lunedì 14 ottobre 2024
Il tratto di giungla abbandonata tra Colombia e Panama è uno dei luoghi più pericolosi del Continente per i migranti. La storia di René che l'ha attraversato coi figli:«O passi o muori»
Le famiglie, con i figli in spalla, sfidano la sorte risalendo le pendici de Las “Morochas” nel Darién

Le famiglie, con i figli in spalla, sfidano la sorte risalendo le pendici de Las “Morochas” nel Darién - .

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È il quarto giorno di viaggio a piedi nel tappo dell'El Darién, ma René Materan non ce la fa più. Le pietre del fiume, incrociato a più riprese, si erano incrostate nei suoi piedi. Complice anche il fatto di aver portato sulle spalle Sergio, suo figlio di due anni. Presenti anche la figlia dodicenne, la moglie e la madre di René, affaticate dal tragitto. Pensavano mancasse solo un giorno, ma ne mancano cinque: hanno percorso meno della metà di quei cento chilometri di giungla abbandonata tra Colombia e Panama, che spaccano letteralmente in due il continente americano.

René ha 37 anni ed è nato a Barinas, regione di pianura nell’entroterra venezuelano. È un rinomato cantautore di Musica llanera: genere innestato nel folclore del Paese sudamericano. Non era quindi un uomo povero, bensì impoverito dalla stessa crisi umanitaria che ha spinto due terzi della popolazione in una condizione di povertà estrema. Gli ultimi cinque anni li aveva trascorsi in Perù, dove però il 29% della popolazione vive sotto la soglia della povertà. La via de “El Darién” è stata scelta perché «non c’erano più alternative, dopo che anche il Messico chiudeva ai venezuelani la possibilità di entrare regolarmente imponendo un visto inaccessibile». Entrando nella selva, le difficoltà si palesano subito: «La giungla è vergine e inabitata, il percorso è intransitabile. Ma non hai scelta: o ci passi, o muori».

Prima di entrare nell'El Darién René ha pagato una guida per i primi passi nella foresta: «Nessuno ti dice la verità: parlano irresponsabilmente di uno o due giorni con lo scopo di farsi dare dei soldi». «Siamo vivi per miracolo», dice mentre guarda il piccolo Sergio: si sono salvati per poco da una caduta mortale mentre salivano la collina detta “Las morochas”. «Mentre scivolavo ho afferrato un ramo con la mano destra, e con l’altra ho tenuto mio figlio», racconta. «Va tutto bene!», aveva detto agli altri migranti in viaggio per non creare ulteriore caos in un contesto già critico. Salvando sé e suo figlio René è riuscito a scongiurare un tragico epilogo visto qualche giorno prima, quando una bambina cadde da una salita ripida venendo portata via dal fiume. Ma una volta entrato in Panama, René ammette di non farcela più. È la tappa più ostica del viaggio. Affida il piccolo Sergio a un gruppo di giovani connazionali, dal passo più svelto: «Se ne sono presi cura come se fosse il loro figlio». Lo riabbraccerà a fine percorso, dopo aver superato la morte un altro paio di volte.

Lasciato Sergio, René – insieme al gruppo con cui viaggia – è stato aggredito da una delle mafie che presidiano il lato del Panama. A subire la peggiore sorte è stata una coppia della Repubblica Dominicana: «Dopo aver rubato uno zaino con 10mila dollari, cioè i risparmi di una vita, i malfattori l’hanno violentata». Avrebbero voluto avvicinare la figlia dodicenne di René, ma si sono astenuti: «Non l’avrei raccontata», ammette. A René gli si spezza la voce mentre ricorda l’esperienza e si abbandona al pianto. «L’unico modo per non morire – commenta – è quello di viaggiare con altre persone, perché lì è proprio vero che nessuno si salva da solo». Neppure in quell’inferno sono mancati i gesti di solidarietà compiuti da persone sconosciute ma accomunate dal desiderio di sopravvivere. «Ho visto persone che hanno portato di peso altri migranti feriti e un giovani in stampelle che è arrivato fino alla fine».
Secondo l’ultimo rapporto di Human Rights Watch, nell'El Darién sono stati compiuti 1.500 abusi sessuali dal 2021 ad aprile 2024. Oltre 250 persone, di cui 41 bambini, sono morte nello stesso periodo. Tuttavia, “Medici senza frontiere” avverte che i dati potrebbero essere più alti.

I migranti che hanno superato il tragitto sostengono che le istituzioni «potrebbero fare di più» ed esigono «vie sicure per chi parte, perché le migrazioni non cesseranno e l’umano non regge certe condizioni». Ce lo confermano i parenti di Ronald Jesus e Lucia, due giovani trentenni che pochi giorni fa sono morti lì. Il primo è stato colpito da un infarto, la seconda da una grave anemia. Recentemente, la crisi migratoria dell'El Darién è stata riconosciuta come «responsabilità condivisa» dai ministri degli esteri di Colombia, Luis Giberto Murillo, e Panama, Javier Martìnez-Acha Vasquez e dal segretario Usa per la sicurezza nazionale Alejandro Mayorkas. I tre Stati hanno fissato una scadenza di novanta giorni per fare ulteriore sforzi nella regolarizzazione dei flussi migratori, proteggendo le fasce più vulnerabili, e smantellare i gruppi criminali che presidiano la giungla. E sembra che il tempo non scorra a loro favore.

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