Alcuni ragazzini pachistani che lavorano nella fabbricazione dei tappeti - Ansa
Giovedì 16 aprile ricorrerà la Giornata mondiale contro la schiavitù minorile, proprio nel giorno che ricorda l’uccisione di Iqbal Masih, esempio della lotta contro questa piaga, condotta oggi a livello internazionale. La sua appartenenza religiosa ha reso evidente a tutti come tanti fra coloro che cadono nella rete del debito in Pakistan siano di fede cristiana. Tuttavia quella di Iqbal, prima ancora di essere una vicenda di persecuzione, è una vicenda di liberazione dall’oppressione che ha acceso un riflettore potente – che da allora non si è mai spento – sul sistema feudale che fa da sfondo alla società pachistana.
Una fitta rete di rapporti tra politici, latifondisti, imprenditori senza scrupoli, fondata su rapporti familiari, clanici o di casta. Una situazione che garantisce quasi sempre l’impunità a chi si macchia del reato di schiavitù – e di altri connessi con il pieno potere che gli sfruttatori hanno sulle vittime – “giustificato” dall’accoglienza del prestito e dall’impegno a restituirlo con il proprio lavoro: un vincolo per molti impossibile da sciogliere, e per questo che si deve necessariamente estendere pure ai figli. Al punto che, in alcune aree e per determinati impieghi, i minorenni sarebbero il 70 per cento dei “lavoratori– schiavi”. Anche se fuorilegge dal 1992, l’oppressione si perpetua coinvolgendo un gran numero di individui: si calcola almeno quattro milioni soltanto nelle fornaci di mattoni, attraverso un sistema di sfruttamento di cui le autorità sono restie ad ammettere le dimensioni. Punibile, infatti, non è il rapporto debitorio, se consensuale, quanto eventuali crimini ad esso connessi.
Le tante organizzazioni che cercano di mettere fine alla schiavitù – come il Fronte per la liberazione dal lavoro forzato che ha avuto in Iqbal un portavoce e che ha affrancato finora almeno 100mila schiavi – hanno pochi strumenti per intervenire una volta che si sia instaurato un debito, se non riscattando le vittime. Su altri fronti, il loro impegno si rivolge alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica, alla preparazione professionale di quanti si sono liberati e alla richiesta alle autorità affinché predispongano servizi che incentivino la frequenza scolastica dei figli di genitori schiavi.