Il premier israeliano uscente, Benjamin Netanyahu (a sinistra), e lo sfidante Benny Gantz (Ansa)
Israele martedì vivrà uno dei momenti elettorali più delicati della sua storia. Dopo l’assassinio (nel 1995) del premier laburista e Premio Nobel per la pace Yitzhak Rabin, il centro-destra ha sempre governato il Paese (a partire dal 1996, con la parentesi tra il 1999 e il 2001 del laburista di Ehud Barak). E da dieci anni Benjamin Netanyahu è saldamente al comando con il suo Likud.
Tra due giorni gli israeliani decideranno se restare su questa strada, confermando alla urne il quinto mandato del premier (il quarto consecutivo), oppure imboccarne una nuova. «Bibi» Netanyahu si trova per la prima volta a fronteggiare un rivale capace di scalzarlo: Benny Gantz, ex capo di stato maggiore dell’Esercito israeliano e fondatore del partito Blu e Bianco assieme ad altri due ex capi di stato maggiore, Moshé Yaalon e Gabi Ashkenazi (che, grazie alla lunga esperienza nella carriera militare, rappresentano la quintessenza della sicurezza del Paese) e all’ex giornalista Yair Lapid. Hanno un’agenda politica dedicata principalmente alla crescita economica e alla lotta alla corruzione, temi che non erano certo tra le priorità in questo decennio di governo Likud. Il premier ha sempre puntato soprattutto sulla sicurezza, tanto da guadagnarsi il soprannome di “Mr. Security”. Sul fronte estero si è impegnato in particolar modo a garantire la protezione del confine con la Siria, coinvolta dal 2011 in un drammatico conflitto che ha aperto spazi a una crescente e insidiosa presenza iraniana nell’area. Il premier ha sempre tenuto nel mirino il cosiddetto “blocco sciita”. E non ha mai approvato l’accordo nucleare siglato da Teheran con la Comunità internazionale, da lui considerato un avallo all’aggressività iraniana. I temi sono stati il cavallo di battaglia di tutta la campagna elettorale.
Una corsa su cui ha inciso molto anche il nodo Gaza. Proprio a causa dell’escalation di violenza che si è generata nell’ultimo anno in concomitanza alle Marce del Ritorno (le manifestazioni di protesta al confine tra la Striscia e Israele che si susseguono dal marzo 2018) è cominciata la crisi di governo che ha portato alle attuali elezioni. La frattura si è concretizzata con le dimissioni dell’allora ministro della Difesa Avigdor Lieberman che, il 25 dicembre 2018, ha lasciato il governo in polemica con il premier sulla necessità di un intervento militare a Gaza. L’addio di Lieberman e del suo partito, Israel Beitenu, ha spinto Bibi a sciogliere l’esecutivo e ad anticipare il voto al 9 aprile, invece che arrivare a scadenza naturale, in novembre. Va detto che Netanyahu non ha mai mostrato un particolare attivismo nella ricerca di un percorso di pace con i palestinesi, puntando piuttosto al mantenimento dello status quo. Anzi ieri ha anche spiegato, in caso di vittoria, che estenderà la «sovranità su parti della Cisgiordania».
A Gaza come in Cisgiordania, dove ha proseguito senza tentennamenti la politica di edificazione degli insediamenti, contrastata dalla Comunità internazionale. Gli sfidanti di Blu e Bianco, con un programma politico più spostato al centro, più dedicato agli interessi dei cittadini (non solo sotto il profilo della sicurezza) e delle minoranze, si propongono di colmare molte delle lacune lasciate da questi dieci anni di governo. Hanno poca esperienza politica e tutto da dimostrare, ma godono di ampio consenso. In campagna elettorale molti sono stati i richiami a una conferenza con gli Stati arabi interessati alla stabilità regionale, e all’opportunità di una separazione dai palestinesi. Tuttavia nei suoi interventi pubblici Gantz è sembrato più a suo agio nell’affrontare i temi di politica interna.
Per esempio la questione dei diritti e dei doveri degli ultraortodossi, altra spina nel fianco del governo Netanyahu, per cui ancora oggi rimangono in sospeso punti centrali della vita quotidiana del Paese, come la loro partecipazione al servizio militare (il cui obbligo è previsto, per 3 e 2 anni rispettivamente, per tutti i cittadini uomini e donne); oppure la possibilità di usufruire di mezzi pubblici durante la giornata di Shabbat; o le unioni matrimoniali civili; o l’accesso al Muro del Pianto per le rabbine riformate.
Blu e Bianco non sarà però l’unico avversario elettorale di Benjamin Netanyahu, incalzato dai procedimenti giudiziari che lo attendono nei prossimi mesi: due accuse di frode, corruzione e favoreggiamento nei confronti di Shaul Elovitch, proprietario dell’azienda di telecomunicazioni Bezeq, e di Arnon Moses, editore del quotidiano Yedioth Ahronoth; e un’accusa di frode e corruzione nei rapporti con il produttore cinematografico Arnon Milchan. La corsa alle elezioni è stata per il premier anche una corsa contro il tempo: quello dei giudici. Per contro, Netanyahu gode del forte appoggio del presidente americano Donald Trump, che lo scorso 14 maggio ha trasferito l’ambasciata Usa da Tel Aviv a Gerusalemme, riconoscendola come capitale di Israele, e che recentemente ha riconosciuto le Alture del Golan come parte del territorio israeliano. Tutti elementi che sembrano stare in perfetto equilibrio sul bilancino elettorale: stando agli ultimi sondaggi, i due principali partiti hanno circa 30 seggi ciascuno, e si avviano a uno scontro al fotofinish, quando i 6,4 milioni di israeliani chiamati alle urne decideranno la volata.
I due sfidanti: Netanyahu e Gantz
NETANYAHU è stato scelto come primo ministro di Israele già per quattro volte: la prima nel 1996, le altre tre (consecutivamente) dal 2009 ad oggi. È il secondo premier più longevo dopo David Ben Gurion. Ha 69 anni. Ha servito il Paese come militare professionista (19671973) specializzato in antiterrorismo. Ha studiato negli Usa, al Mit e ad Harvard. Suo fratello Yoni morì nel 1976 durante l’Operazione Entebbe in Uganda. Ha iniziato la carriera politica negli anni Ottanta nel Likud. Il primo marzo è stato incriminato per vicende di corruzione e frode. Accuse che rigetta.
GANTZ, il volto nuovo della politica israeliana, ha 59 anni e un curriculum militare tra i più prestigiosi. Si arruolò volontario nei paracadutisti quando aveva 18 anni: era il 1977. Due anni dopo aveva i gradi di ufficiale. Ha servito nelle Forze armate per tutta la vita, nelle guerre del Libano (1982 2000), nella prima Intifada (1987 1993), nella seconda Intifada (2000-2005), nell’operazione Piombo fuso (2008 2009). Ha una laurea in storia e due master. Il 14 febbraio 2011 era stato nominato “ramatkal”, ossia “capo di stato maggiore generale”, il più alto rango nelle Forze di difesa israeliane.