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Nuovo momento della verità nella serie di guai legali di Donald Trump. Il giudice della Corte Suprema di Manhattan Arthur Engoron gli ha inflitto una multa di 355 milioni di dollari e l’ha bandito dal fare affari a New York per tre anni. Un divieto che per i suoi figli maschi è limitato a due anni. Il processo esplosivo era scaturito dall’accusa del procuratore generale di New York Letitia James a Trump, ai suoi due figli maschi adulti e alla sua azienda e alti dirigenti di aver gonfiato in modo fraudolento il patrimonio di Trump per ottenere vantaggi finanziari. In serata, il tycoon sul suo social Truth, ha definito la sentenza «interferenza elettorale, caccia alle streghe» e «farsa totale». Trump attacca il giudice «disonesto», la procuratrice generale «totalmente corrotta che si è candidata promettendo di incastrarmi». «Il sistema giudiziario nello Stato di New York, e in America nel suo insieme, è sotto attacco da parte di giudici e pubblici ministeri partigiani, delusi e prevenuti», aggiunge, denunciando una sentenza «illegale, anti americana contro me, la mia famiglia e il mio incredibile business».
Al miliardario ha replicato la stessa procuratrice James: «Questa è una vittoria straordinaria per questo stato, questa nazione e per tutti coloro che credono che tutti dobbiamo rispettare le stesse regole, anche gli ex presidenti», ha detto.
Il giudice, che aveva già riconosciuto la colpevolezza dell’imputato, ieri non ha però imposto la dissoluzione delle aziende del tycoon. Questi ha, appunto, definito la sentenza «una frode contro di me». Si tratta di un’altra tegola per gli affari el repubblicano dopo che, il mese scorso, una giuria gli ha ordinato di pagare 83,3 milioni di dollari per aver diffamato la scrittrice E. Jean Carroll negando di averla violentata negli anni ‘90. Intanto il procuratore speciale Jack Smith ha chiesto alla Corte Suprema di permettere che proceda il processo contro Trump per i suoi sforzi di ribaltare i risultati delle elezioni del 2020 culminati con l’assalto al Congresso del 6 gennaio. Trump ha infatti presentato ricorso invocando l’immunità per le azioni compiute quando era presidente. Dalla risposta della Corte Suprema dipende l’avvio del processo, che è già slittato dal previsto 4 marzo.
È stata fissato al 25 marzo invece l’inizio del dibattimento del processo penale per il caso della pornostar Stormy Daniels, uno dei quattro che pendono sulla testa del candidato alla Casa Bianca. Il giudice di New York Juan Merchan ha respinto la richiesta del tycoon di archiviare o posticipare il procedimento. Merchan ha anticipato che potrebbe terminare a fine aprile o inizio maggio, quando in realtà ormai Trump avrà in tasca la nomination repubblicana per la Casa Bianca. Un’eventuale condanna potrebbeperò pesare alle elezioni di novembre sugli elettori moderati, in particolare le donne. Infine sempre ieri si è chiusa l’udienza ad Atlanta, Georgia, per decidere se estromettere dal processo a Donald Trump la procuratrice distrettuale Fani Willis, accusata di aver ingaggiato il fidanzato nella sua squadra per indagare sul tycoon. In Georgia Trump è incriminato penalmente dalla stessa procuratrice per il tentativo di sovvertire il risultato elettorale delle presidenziali del 2020. Tutto in sospeso per il tycoon dunque, mentre il giudice della contea di Fulton Scott McAfee esamina possibili conflitti d’interesse «sotto tutti i punti di vista». Per adesso, però, l’avanzata della macchina giudiziaria nei confronti di Trump, anche per trasgressioni gravi, non sembra fermare la sua corsa verso la presidenza. Solo un terzo degli americani ritiene che Trump alla fine potrebbe perdere la nomination repubblicana a causa dei suoi guai legali. È quanto emerge da un sondaggio della Monmouth University che sottolinea che sono invece la metà degli elettori americani a ritenere che sia probabile che Joe Biden venga sostituito a causa del suo stato di salute e della sua età. Trump è stato infatti abilissimo nel trasformare ogni incriminazione e imputazione in una persecuzione politica. «Non c’è alcun caso, non c’è alcun crimine... solo interferenze elettorali per fermarmi perché sono avanti nei sondaggi. Invece di essere in giro per comizi elettorali sono in tribunale a difendermi da una persecuzione politica da terzo mondo, da repubblica delle banane», ha attaccato da New York.