Operazioni di sanificazione all'interno di una moschea a Karachi in Pakistan - Ansa
Per gli oltre 1,8 miliardi di credenti musulmani, quest’anno il mese santo di Ramadan, che inizia domani notte, sarà stravolto nelle sue tradizioni dall’epidemia di coronavirus. In Nordafrica e Medio Oriente, in un clima informativo ancora più nebuloso del solito, le restrizioni imposte per fermare il contagio, in primis pregare rigorosamente a casa, potrebbero generare nuove tensioni sociali. In Arabia Saudita, le autorità camminano sul filo del rasoio, fra nemici interni ed esterni che attendono solo un passo falso. Già bersaglio di critiche infuocate nella Umma (la comunità dei fedeli musulmani, ndr ) per la scelta, attuata più di un mese fa, di chiudere ai pellegrini Mecca, Medina e tutte le moschee del regno, ora i sovrani Saud sarebbero diventati essi stessi focolaio del Covid-19: secondo la stampa statunitense, almeno 150 i membri della famiglia reale malati, forse persino il governatore di Riad. Re Salman, 84 anni e innumerevoli problemi di salute, si sarebbe rifugiato su di un’isola di fronte a Gedda, mentre Mohammed Bin Salman, principe ereditario, e i ministri più influenti del governo sarebbero in quarantena in una località segreta. Se così fosse, mentre i malati sono oltre 10mila, si rischierebbe pure un temporaneo vuoto di potere.
Difficile separare verità e finzione in tempi di narrazione pandemica anche per il Marocco, dove i social raccontano tutto e il contrario di tutto: che cosa è «nervosismo da virus» e che cosa contestazione politica? Rabat puntualizza: 56 persone sono state arrestate per aver diffuso «notizie false sull’epidemia». E i due video in cui si vedono scontri fra cittadini e agenti di polizia a colpi di pietre? Trasgressori della quarantena colti sul fatto. Sul web impazzano le immagini dei cortei notturni di Fez, Tetouan, Tangeri del 21 marzo scorso: in pieno lockdown, centinaia di persone sono scese nelle strade scandendo slogan religiosi quali «Allah è grande, solo lui può sconfiggere il virus ». Ora il timore è che ciò possa ripetersi nelle prossime settimane. Anche in Algeria, colpita dalla malattia e dalla repressione politica, o magari in Egitto, la cui popolazione è solita vivere il Ramadan con parti- colare intensità. Non quest’anno: niente preghiere notturne di gruppo (il taraweeh ), niente banchetti per rompere il digiuno ( iftar) né colazione prima dell’alba ( sohour ), niente visite ai defunti.
Il governo indonesiano (l’Indonesia è il più grande Paese a maggioranza islamica al mondo) ha vietato i viaggi di fine Ramadan verso le proprie famiglie di origine: veri e propri esodi di massa, in corrispondenza delle celebrazioni dell’Eid el-Fitr, pericolosissimi in queste circostanze. In Iraq, per prevenire lo scontento si è pensato di sospendere il coprifuoco instaurato in marzo, vietando però gli assembramenti notturni. Confinamento attenuato in Tunisia, dalle 20 alle 6, a partire dal 4 maggio: una boccata di ossigeno per le attività commerciali, che durante il Ramadan fanno affari d’oro al calare del sole. Meglio il Covid–19 della furia religiosa, devono aver pensato le autorità pakistane, che, uniche al mondo, hanno deciso di riaprire le moschee, giorno e notte. Proteste, violenti scontri e arresti anche in Niger a causa del divieto, imposto dalle autorità, delle preghiere collettive. Nel mirino anche il coprifuoco. L’importante, scandisce la Dar el–Ifta egiziana, comitato consultivo islamico per le questioni giuridiche, sarà vivere la propria spiritualità in modo autentico. Ma il dibattito fra oltranzisti del digiuno e sostenitori della flessibilità infuria: negli Emirati, i medici impegnati in prima linea nella lotta al virus potranno nutrirsi anche di giorno, così come, in Iran, i malati con sintomi lievi. Ma dalla grande moschea universitaria di al–Azhar, al Cairo, giunge una fatwa: «A un musulmano non è permesso rompere il digiuno».