martedì 3 dicembre 2024
L'avvertimento del ministro Israel Katz. Su Gaza diplomazie al lavoro: al Cairo è attesa la delegazione israeliana. Tra Hamas e il partito Fatah di Abu Mazen accordo per un governo tecnico
Una bandiera israeliana sventola in Libano appena oltreconfine, fotografata dalla zona israeliana di Metula

Una bandiera israeliana sventola in Libano appena oltreconfine, fotografata dalla zona israeliana di Metula - Reuters

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Se la tregua dovesse fallire, Israele entrerà in guerra non solo con Hezbollah ma anche con il Libano. L’avvertimento arriva dal ministro della Difesa, Israel Katz, a una settimana dall’entrata in vigore della tregua armata sul fronte nord israeliano, quello che corre lungo la Linea Blu di demarcazione tra i due Paesi. Riferendosi ai termini dell’accordo di cessate il fuoco, «lo applicheremo – ha detto – con la massima risposta e tolleranza zero: se fino ad ora abbiamo separato il Libano e Hezbollah, non sarà più così. Se torneremo in guerra, agiremo con forza più a fondo in Libano».

L’accusa mossa all’esercito libanese è quella di non far rispettare il cessate il fuoco da parte dei miliziani di Hezbollah, ovvero farli arretrare a nord del fiume Litani, smantellando tutte le loro infrastrutture. «Se non lo faranno e il cessate il fuoco finirà, allora la realtà sarà molto chiara».

Per il momento la tregua barcolla ma non cade. Ed è segnata, quotidianamente, da sporadici scambi di colpi. Stati Uniti e Francia, coinvolti entrambi nel meccanismo di controllo dell’applicazione del cessate il fuoco, hanno registrato le violazioni ed esortato tutte le parti a rispettare l’accordo. Sarebbero stati il primo ministro ad interim libanese, Najib Mikati, e il presidente del Parlamento, Nabih Berri, vicino a Hezbollah, a esprimere a funzionari della Casa Bianca e della presidenza francese la loro preoccupazione per i recenti raid israeliani. Da parte sua, Tel Aviv invoca il diritto a rispondere se minacciata.

Proseguono le manovre diplomatiche per una tregua a Gaza. Una delegazione israeliana è attesa al Cairo per partecipare ai colloqui finalizzati al rilascio degli ostaggi ancora nella Striscia. Sempre al Cairo, si sono incontrate nei giorni scorsi le delegazioni di Hamas e di Fatah, il partito palestinese moderato che con il presidente Abu Mazen guida in Cisgiordania l’Autorità nazionale (Anp). Avrebbero concordato la costituzione di un comitato di tecnici per la gestione del dopoguerra. Sostanzialmente, Hamas uscirebbe dalla scena pubblica e l’enclave sarebbe sotto controllo totale dell’Anp.

Nella Striscia si combatte ancora. Le Forze di difesa israeliane hanno effettuato diverse incursioni nell’area del corridoio Netzarim, che divide orizzontalmente l’enclave, demolendo diversi edifici utilizzati da Hamas e sequestrando arsenali. Almeno sette i miliziani uccisi in questa operazione. Nel settore nord, un raid sulla città di Beit Lahiya ha provocato almeno 14 morti. Bombardato anche il campo profughi di Jabalia, sempre a nord. Ordini di evacuazione hanno raggiunto la popolazione dei distretti settentrionale di Khan Yunis, nel sud. «Per la vostra incolumità, dovete evacuare immediatamente l’area e spostarsi nella zona umanitaria», è l’avviso in arabo. Si ripete da quasi quattordici mesi.

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