venerdì 24 novembre 2017
Nei 26 «Spazi territoriali» riservati ai guerriglieri i progetti faticano a decollare. «Non è facile ricostruire i rapporti dopo tanti anni». Il rischio di vendette è alto
Colombia, in salita il piano per reintegrare i miliziani Farc
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Gli ultimi chilometri si devono fare a piedi, calpestando il sentiero di arbusti e terra rossa che conduce a Tierra Grata-La Paz, nella regione settentrionale del Cesar, uno dei 26 “Spazi territoriali di formazione e reintegrazione” (Etcr), meglio noti come “villaggi” delle Fuerzas armadas revolucionaria de Colombia (Farc). Quando, subito dopo l’accordo di pace, la zona era stata scelta per ospitare qualche centinaia dei 12mila ex combattenti, il governo aveva promesso di connetterla con una lingua d’asfalto alla strada principale.

È trascorso un anno dalla firma dell’intesa e del collegamento non c’è traccia. Non resta, dunque, che arrampicarsi per l’impervio viottolo. In media, ci vuole almeno un’ora di marcia. Uriel Montaño – alias Aldair – ha fatto il percorso in meno di venti minuti per riabbracciare Raquel, sua sorella. Non si vedevano da 19 anni. Dal 1998, quando, a 18 anni, Uriel si è unito alle Farc. «Che cos’altro potevo fare? Mio padre era un contadino povero del Santander. Dato che il municipio più vicino era a 12 ore di cammino da casa, non mi aveva registrato all’anagrafe. Senza documenti, se le autorità o i paramilitari mi avessero beccato, mi avrebbero considerato sospetto. Rischiavo grosso. Tanto valeva essere davvero un guerrigliero ». Il fratello Eliacir, pure lui senza certificato di nascita, invece, è entrato nell’esercito. «L’ho saputo solo ora, da Raquel. Per fortuna, non ci siamo mai scontrati in battaglia. Spero che un giorno anche lui accetterà di incontrarmi. Pure mia sorella all’inizio era diffidente. Poi la Chiesa ci ha aiutato…».

La Commissione di conciliazione della Conferenza episcopale colombiana – che lavora in sei delle aree assegnate alle Farc – promuove a Tierra Grata-La Paz un programma di ricongiunzioni familiari. «Ce lo hanno chiesto gli ex miliziani. Per loro non è facile ricostruire i rapporti dopo dieci, vent’anni. Spesso, poi, alcuni hanno perso le tracce dei parenti. O questi sono troppo poveri per venirli a trovare e loro hanno paura di muoversi», spiega Daniel Morón, direttore della Pastorale sociale della parrocchia di San Francisco, che segue il progetto. Il rischio di vendette è alto: già 25 ex guerriglieri sono stati assassinati nell’ultimo anno. Anche lavorare con le Farc è pericoloso. Lo stesso Daniel è stato minacciato dai cosiddetti “eredi” dei paramilitari di ultradestra, i gruppi criminali nati dalla smobilitazione delle Autodefensas unidas de Colombia (Auc). «Mi hanno detto di non andare più a Tierra Grata-La Paz. Ma non posso lasciare. Il mio lavoro qui non riguarda solo gli ex combattenti, ma tutti i cittadini. La riconciliazione è l’unica speranza per far uscire la Colombia dal labirinto della violenza», prosegue Daniel. Il prossimo gruppo di familiari dovrebbe arrivare a Tierra Grata-La Paz fra qualche settimana. «Dipende dall’aiuto dei benefattori », sottolinea Daniel. Le risorse limitate sono il principale scoglio del dopoguerra colombiano. Finora, nonostante le promesse, il governo le ha centellinate. Colpa dell’opposizione parlamentare che vuole bloccare il processo, si giustifica. La pace, dunque, procede a rilento. Solo lo scheletro dei 26 villaggi è stato più o meno completato, seppur con un anno di ritardo. Accanto ai cubetti prefabbricati di compensato sono rimaste, però, le vecchie tende: nelle casette fa troppo caldo per dormirci.

I progetti produttivi previsti – per dare opportunità di lavoro ai combattenti smobilitati e alle comunità più colpite dal conflitto – sono ancora sulla carta, tranne i 22 appena cominciati. Per gli ex miliziani, l’inattività è un supplizio: trovare un impiego “fuori” è quasi impossibile per quanti – la maggior parte – hanno poca istruzione e nessuna esperienza civile. Molti – più della metà, sostiene l’Onu –, sentendosi “traditi”, lasciano i villaggi. Alcuni cedono alle lusinghe delle bande criminali, ansiose di reclutarli come manodopera “qualificata”. Da Tierra Grata-La Paz ne è andata via già una ventina. «Non possiamo, però, permetterci il lusso di lamentarci. Sapevamo che la pace sarebbe stato solo il punto di partenza e non la soluzione», afferma Lucas Urieta, all’anagrafe Hermán González, ex guerrigliero del Bloque Caribe e esponente del gruppo di monitoraggio sul disarmo, sotto l’egida Onu.

«Il nostro principale impegno ora è la riconciliazione con le comunità a cui, senza volerlo, abbiamo inflitto sofferenze», aggiunge Jimmy Ríos, nome reale Fredy Escobar, ex comandante del Bloque 4. Insieme a lui c’è Gonzalo, il responsabile dell’insediamento, che annuisce. Ríos indossa un braccialetto di filo con una croce rossa. «Me l’ha regalato una ragazza finita sulla sedia a rotelle per colpa di una delle nostre mine. Voleva ringraziarmi perché la nostra richiesta di perdono l’ha fatta stare meglio dopo tanto tempo. È una lunga strada ma, passo dopo passo, la stiamo percorrendo». A un’oretta di auto da Tierra Grata-La Paz si trova un altro villaggio Farc: Pondores. Là, il 27 giugno scorso, i combattenti hanno consegnato l’ultimo Kalashnikov. Poco più di due mesi dopo, dalle ceneri della guerriglia più antica d’Occidente, è nata la Farc.

Stessa sigla, nuovo significato, Fuerza alternativa revolucionaria del común, nuovo obiettivo: non più la lotta armata bensì la competizione elettorale. Di recente, il partito ha annunciato la candidatura del proprio leader, Rodrigo Londoño, alias Timochenko, alle presidenziali di maggio. «Non rinunciamo alla rivoluzione ma vogliamo realizzarla senza armi. Appoggeremo qualunque governo si impegni a dare seguito a quanto sottoscritto all’Avana. Se solo ne fosse implementato la metà, la Colombia diventerebbe un esempio per il mondo», dice Benedicto González o Alirio Córdoba, vecchio nome di battaglia e ora d’arte. Perché, da quando ha abbandonato la clandestinità della giungla, il responsabile di Pondores sta realizzando il sogno di gioventù, abbinando alla politica, l’attività di cantautore.

«La chitarra è più utile del fucile alla lotta per una Colombia riconciliata. Durante gli incontri con le vittime, la musica aiuta a rompere il ghiaccio. Cantiamo e piangiamo. Fa bene a loro. E a noi».

(1. Continua)

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