La sala della plenaria del vertice di Bonn in preparazione alla Cop29 - Ansa
«Abbiamo compiuto passi avanti modesti. Ci siamo allontanati dalla strada per Baku». Al di là delle parole misurate, il messaggio è chiaro: l’esito dei negoziati Onu di Bonn in preparazione alla Conferenza sul clima di Baku (Cop29) è deludente. Parola del segretario esecutivo delle Nazioni Unite per il cambio climatico, Simon Steil. A cinque mesi dall’appuntamento in Azerbaigian, il principale vertice preliminare si è chiuso nella notte tra giovedì e ieri senza sciogliere nessuno dei nodi all’ordine del giorno. Primo fra tutti, la definizione del cosiddetto “nuovo obiettivo quantitativo globale di finanza climatica post 2025” ovvero la somma di aiuti ai Paesi poveri per far fronte al riscaldamento globale che, dal 2025, dovrebbe sostituire l’attuale quota: 100 miliardi l’anno. Cifra quest’ultima più simbolica che reale. È stata raggiunta nel 2022, con due anni di ritardo sulla tabella di marcia. Ed è diventata per il Sud del mondo una sorta di termometro della reale volontà del Nord di impegnarsi per far fronte all’emergenza climatica di cui ha la gran parte di responsabilità. Le nazioni più povere producono, in media, all’anno, appena il 9 per cento delle emissioni totali, le dieci più ricche il 70 per cento. Di per sé, 100 miliardi di dollari sono del tutto insufficienti rispetto alle necessità. Secondo l’ultima stima delle Nazioni Unite di febbraio, ne occorrono almeno 2.400. Se un simile traguardo appare irraggiungibile, per mancanza di volontà politica, i 197 Stati parte delle Cop più l’Ue avevano già deciso di correggerlo al rialzo a partire dal prossimo anno. Baku dovrebbe essere l’occasione per decidere l’ammontare esatto.
Da Bonn, dunque, non ci si aspettava già una definizione ma quantomeno un orizzonte. Dopo due settimane, invece, il negoziato si è chiuso con un caotico documento di 35 pagine in cui emerge, come sottolinea l’analisi di Italian climate network, una profonda spaccatura tra Nord e Sud del pianeta. Quest’ultimo spinge per i mille miliardi l’anno, il primo frena e vorrebbe limitarsi a un generico “più di cento”. «Il nuovo obiettivo dovrà essere realistico abbastanza da stimolare un lavoro di mobilitazione efficace e allo stesso tempo ambizioso in modo da sbloccare l’attuale empasse negoziale e operativo», afferma il policy advisor Jacopo Bencini. In questo senso, dal G7 dovrebbe arrivare una parola forte. Ma è improbabile che avvenga. «Nei vertici di livello ministeriale che, nei mesi scorsi, hanno preceduto la riunione di Borgo Egnazia, in particolare Torino e Stresa, non è emerso niente di nuovo sulla questione», prosegue Bencini. Un copione che rischia ripetersi oggi, quando verrà diffuso il testo finale. Nella bozza circolata, di finanza e di nuovo obiettivo si parla poco, più che altro nei termini della volontà di sommare altri Paesi allo sforzo economico, oltre alle due decine attuali. Eppure proprio i Sette Grandi «hanno sia la responsabilità sia la capacità di fare la differenza», dichiara Evans Njewa, portavoce del gruppo dei 45 Paesi meno sviluppati del pianeta, profondamente preoccupato «dal divario tra i risultati raggiunti e l’urgenza della crisi ambientale. Se non facciamo uno scatto nei prossimi dieci anni non riusciremo a contenere l’aumento delle temperature entro la soglia di equilibrio di 1,5 gradi. Invece prevale lo stallo». Nella bozza del testo del G7, c’è l’impegno – già preso alla Cop28 di Dubai – di «avviare la transizione verso l’allontamento dalle fonti fossili in modo giusto, ordinato ed equo, accelerando gli sforzi nell’attuale decennio critico, in modo da raggiungere l’azzeramento delle emissioni nette entro il 2050». Mancano, però, «tempistiche e politiche precise al 2030 e al 2050, per accompagnare l’uscita ordinata dalle fossili, partendo dal gas nel settore elettrico e dallo stop a nuove concessioni sul territorio nazionali», dice Luca Bergamaschi, co-fondatore del think tank Ecco. Anzi, i leader hanno confermato gli investimenti pubblici sul gas. Anche sulla mitigazione cioè il taglio degli emissioni, dunque, c’è continuità tra Bonn e Borga Egnazia sulla linea attendista. Non sorprende la legittima frustrazione dei giovani attivisti di Extinction Rebellion che hanno protestato al Media Center di Bari. L’aggiornamento dei piani nazionali di riduzione, che si doveva cominciare a discutere, è stato rinviato a Baku. In modo da vedere quale indicazione verrà dalle urne Usa. Insomma prende forma il rischio evocato da Steil: rimandare i problemi da un anno all’altro. «Questa – ha concluso – è la ricetta per il fallimento».