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Una manifestazione a New York per il rilascio dell'attivista palestinese Mahmoud Khalis, che studia alla Columbia University - Ansa
Si era già visto nella prima Amministrazione Trump, si ripete su scala ingrandita nella seconda. Il giro di vite sui visti per l'ingresso negli Stati Uniti nel 2016 era stato chiamato "muslim ban" e vietava gli arrivi, anche per motivi di studio, da Iran, Libia, Somalia, Siria, Yemen, Sudan e Iraq. Imposto con un ordine esecutivo, era stato dichiarato incostituzionale dai giudici in primo grado. Una seconda versione del 2017, anch'essa contestata, aveva rimosso l'Iraq e aggiunto il Ciad. Infine era arrivato il via libera della Corte Suprema alla terza versione del provvedimento, che aggiungeva all'elenco Venezuela e Corea del Nord sottraendosi così all'accusa di discriminare su base religiosa o etnica. Un espediente che non cancellava l'intento dichiarato da Donald Trump in campagna elettorale di voler bloccare l'immigrazione di tutti i musulmani per prevenire eventuali infiltrazioni terroristiche.
Nel 2025 il copione si ripete su scala ingrandita. Questa volta la lista, ancora provvisoria, dei Paesi nel mirino per il blocco totale o parziale dei visti ne conta 41, sui poco meno di 200 Stati del mondo. Il New York Time ha pubblicato la bozza che circola negli ambienti governativi e che prevede tre casistiche. La prima: blocco totale e assoluto dei visti d'ingresso, per qualsiasi ragione (turismo, studio, lavoro o altro) da Afghanistan, Cuba, Iran, Libia, Corea del Nord, Somalia, Sudan, Siria, Venezuela e Yemen. La seconda: blocco parziale dei visti (per turismo, studio e altro) da Eritrea, Haiti, Laos, Myanmar e Sud Sudan. La terza: minaccia di sospensione parziale dei visti se non sarà garantita entro 60 giorni l'adozione di procedure di controllo più stringenti per l'ingresso da 26 Paesi (Angola, Antigua e Barbuda, Bielorussia, Benin, Bhutan, Burkina Faso, Capo Verde, Cambogia, Camerun, Ciad, Repubblica democratica del Congo, Repubblica Dominicana, Guinea Equatoriale, Gambia, Liberia, Malawi, Mauritania, Pakistan, Repubblica del Congo, Saint Kitts e Nevis, Saint Lucia, Sao Tome e Principe, Sierra Leone, Timor Est, Turkmenistan, Vanuatu).
La motivazione ufficiale del provvedimento è la prevenzione della minaccia terroristica. Ed è sempre con l'accusa di terrorismo che l'Amministrazione vorrebbe espellere dal territorio degli Stati Uniti - di fatto, deportare - studenti universitari che nell'ultimo anno hanno manifestato a favore della causa palestinese e contro le politiche e l'azione militare di Israele nella Striscia di Gaza e in Cisgiordania. Uno dei leader della protesta alla Columbia University di New York, Mahmoud Khalis, è stato arrestato con l'accusa di essere un sostenitore di Hamas. Gli è stata revocata la Green Card che gli consentiva di vivere e studiare negli Usa. Un giudice federale ne ha sospeso il rimpatrio forzato in attesa di una decisione sul ricorso. Arrestata anche un'altra attivista palestinese, Leqaa Kordia, arrivata alla Columbia dalla Cisgiordania. Il suo visto di soggiorno sarebbe stato revocato nel 2022, le contestano, per mancata frequenza alle lezioni. Dopo la revoca del visto ha già lasciato gli Usa un'altra studentessa della Columbia, di nazionalità indiana, accusata di sostenere Hamas. «Ottenere un visto per vivere e studiare negli Usa è un privilegio, quando invochi la violenza e il terrorismo questo privilegio deve essere revocato e non devi essere in questo Paese», ha dichiarato la segretaria alla Sicurezza Interna, Kristi Noem.
La dirigenza della Columbia, che nei giorni scorsi si è vista sospendere finanziamenti federali per 400 milioni di dollari per condotta antisemita (ha tempo fino al 20 marzo per recuperarli), ha deciso di allontanare gli studenti che nell'aprile del 2024 avevano occupato Hamilton House, al culmine di settimane di sit-in contro la guerra a Gaza. L'avvocato dell'attivista Khalis, il primo arrestato, ha invocato il Primo emendamento sulla libertà di espressione e denunciato un'equiparazione impropria tra il sostegno alla causa palestinese e quello al terrorismo.
Per protestare contro gli arresti degli universitari, giovedì centinaia di persone hanno fatto irruzione alla Trump Tower di New York. Ne sono state arrestate 98. Il gruppo pro-israeliano di estrema destra Betar ha detto di aver fornito all'Amministrazione una «lista di nomi per le deportazioni». Contro il fermo di Khalil, oltre cento deputati democratici hanno scritto alla segretaria per la Sicurezza Noem e al segretario di Stato Marco Rubio chiedendo che dimostrino in che modo lo studente costituisca una minaccia per la sicurezza americana.