giovedì 27 giugno 2024
Il regime teme la bassa affluenza come nelle politiche di marzo, per sostituire Raisi morto a maggio. Il boicottaggio divide però gli oppositori
Le immagini di Mohammad Bagher Ghalibaf, il candidato vicino ai vertici del regime degli ayatollah, dato per favorito alla presidenza

Le immagini di Mohammad Bagher Ghalibaf, il candidato vicino ai vertici del regime degli ayatollah, dato per favorito alla presidenza - Reuters

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Ancora alle urne. Gli iraniani sono chiamati venerdì a voto urne per scegliere un nuovo presidente della Repubblica al posto di Ebrahim Raisi, che ha perso la vita il 19 maggio in un incidente d'elicottero insieme al suo ministro degli Esteri e ad altri membri dell'equipaggio.

Sei le candidature convalidate dal Consiglio dei Guardiani della Costituzione: sei conservatori, tra cui un religioso, e un riformista. Come ad ogni consultazione popolare in Iran, l'incognita maggiore riguarda il tasso di partecipazione.

Ieri, la Guida Suprema, l'ayatollah Ali Khamenei, ha richiesto la «massima partecipazione» definendola uno degli strumenti «con cui la Repubblica islamica può vincere il nemico». La bassa affluenza – il 41 per cento degli aventi diritto – alle elezioni che si sono tenute all'inizio di marzo per rinnovare i seggi del Parlamento e dell'Assemblea degli Esperti ha, infatti, confermato ancora una volta la sfiducia di molti iraniani verso il sistema politico.

Si trattava – lo ricordiamo – delle prime elezioni a livello nazionale sin dalle manifestazioni di piazza innescate nel settembre 2022 dalla morte violenta della ventiduenne Mahsa Amini e andate avanti per diversi mesi nonostante la dura repressione. Oggi come pochi mesi fa, il fronte riformista si presenta diviso tra il boicottaggio delle urne e la partecipazione a favore del candidato Massoud Pezeshkian, riducendo la possibilità di segnare una vittoria.

Tra i favorevoli al boicottaggio, Shirin Ebadi, vincitrice del Premio Nobel per la Pace nel 2003, che ha affermato in una nota che «i falsi dibattiti tra i candidati, che sono solo uno spettacolo per rompere il ghiaccio della partecipazione popolare, è un altro vecchio e ripetuto inganno del sistema». Invitano a votare – ha aggiunto l'avvocata, che vive in esilio a Londra – «mentre le tracce del sangue dei nostri cari sono ancora visibili sulle loro armi e sul loro comportamento».

Della stessa opinione due prigioniere politiche che hanno invitato al boicottaggio dal carcere in cui sono detenute. La prima è la scrittrice e attivista per i diritti umani Golrokh Ebrahimi Iraee la quale ha affermato in una lettera che «gli iraniani non hanno dimenticato il tradimento dei riformisti, poiché hanno subito lo stesso blocco soffocante durante i governi riformisti degli ultimi anni». L'altra è Mahboubeh Rezai che ha inviato una lettera dal carcere di Evin, dicendo: «Se le elezioni avessero il minimo effetto sui governi totalitari e dittatoriali, non garantirebbero il diritto di voto alle persone. Queste elezioni scommetteranno sul cavallo perdente dell'illegittima Repubblica islamica».

Al di là del livello di erosione del sostegno popolare verso la leadership, è evidente che lo scrutinio si svolge in un contesto regionale e internazionale teso che non favorisce affatto un cambiamento. Per gli iraniani intenzionati a votare si tratta di intravvedere le piccole sfumature tra i cinque candidati conservatori. Al centro dei dibattiti televisivi organizzati a partire dal 17 giugno le difficoltà economiche che attanagliano la vita dei cittadini. Nulla di strano in un Paese che vede deprezzarsi la propria valuta nazionale con un alto tasso di disoccupazione tra i giovani diplomati e un'inflazione galoppante. «Prometto ai lavoratori e ai pensionati di rafforzare l'economia e di preservare il potere di acquisto», ha detto Mohammad Bagher Ghalibaf, lo speaker del Majlis (Parlamento), dato nei sondaggi tra i tre più favoriti insieme all'ex negoziatore del dossier nucleare Said Jalili e all'ex ministro della Salute Massoud Pezeshkian.

Il dibattito tra i candidati ha toccato anche la questione delle sanzioni internazionali, con tre dei sei candidati che non lesinato critiche contro «i loro effetti nefasti sull'economia». Pezeshkian ha persino fatto intendere che, in caso della sua elezione, cercherà di raggiungere un compromesso con gli Usa sulla revoca di «queste sanzioni catastrofiche». È impossibile – ha spiegato – «raggiungere una crescita dell’8%» senza ristabilire normali relazioni economiche con gli altri Paesi, compreso l’Occidente. «Eludere le sanzioni – ha aggiunto – è possibile, ma alcuni si arricchiscono in tal modo», alludendo alle cerchie vicine al regime, accusate di arricchirsi commerciando con l'estero. A minimizzare gli effetti delle «crudeli sanzioni» è stato, invece, l'ultraconservatore Alireza Zakani, attuale sindaco di Teheran, un fedelissimo di Khamenei: « Dobbiamo promuovere l'indipendenza del Paese» attraverso la de-dollarizzazione. Tra le due posizioni, l'approccio mitigato di Ghalibaf, il quale ha considerato le nuove alleanze economiche, come Brics e l'Organizzazione di cooperazione di Shanghai, un'occasione per attirare nuovi investimenti stranieri nel Paese.

I quattro principali sfidanti

Mohammad Bagher Ghalibaf

Il 63enne è dal 2020 presidente del Majlis, il Parlamento di Teheran. Comandante di una divisione dei pasdaran (i Guardiani della rivoluzione) durante la guerra Iran-Iraq, ha poi guidato le forze aeree. È stato per 12 anni (2005- 2017) sindaco di Teheran. Per due volte candidato sfortunato alle presidenziali (nel 2005 e nel 2013) si è ritirato nel 2017 in favore di Ebrahim Raisi. I sondaggi lo danno in testa alle rilevazioni sulle intenzioni di voto.

Said Jalili

Ha 59 anni, è membro del Consiglio per il discernimento dell'interesse del regime. Membro delle forze paramilitari dei basiji, nel 1997 è nominato vice ministro degli Esteri. Nel 2007 diventa rappresentante dell'ayatollah Ali Khamenei all’interno del Consiglio superiore per la sicurezza nazionale iraniano ed tra i principali negoziatori dell'accordo nucleare. Si è candidato più di una volta alle presidenziali, senza ottenere mai il successo decisivo.

Massoud Pezeshkian

Ha compiuto 70 anni, è l'unico candidato vicino al campo riformista tra i sei candidati. Chirurgio di professione, ha servito come ministro della Salute (2001-2005) sotto Khatami. Dal 2008 è ripetutamente eletto deputato di Tabriz, nel nordovest del Paese. Nel 1993 perse la moglie e un figlio in un incidente d'auto, ma decise di non risposarsi dedicandosi all'educazione degli altri 3 figli, guadagnando la simpatia degli iraniani.

Alireza Zakani

Il 58enne è dal 2021 sindaco ultraconservatore di Teheran, fedele alla linea dell'Grande ayatollah Ali Khamenei. Dopo un passato nel corpo dei volontari (basiji), è stato eletto deputato al Majlis per quattro mandati. Ha partecipato alla repressione delle manifestazioni studentesche del 1999 ed è anche responsabile della repressione delle proteste innescate dalla morte violenta, nel settembre 2022, di Mahsa Amini.



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