Dimostranti bruciano rifiuti, domenica, nelle strade di Santiago del Cile, dove resta lo stato d'emergenza (Ansa)
Saccheggi, incendi e oltre 10mila militari nelle strade. Non si ferma la violenza in Cile dove il numero dei morti è salito a 11 da venerdì. Cinque persone sono rimaste asfissiati in una fabbrica di abiti che era stata assediata e saccheggiata durante gli atti vandalici. Oggi manifestanti hanno incendiato gli uffici dell'anagrafe di Lo Espejo, nella regione metropolitana della capitale Santiago del Cile, provocando danni ingenti. Molti documenti sono andati distrutti.
Saccheggi, incendi e oltre 10mila militari nelle strade. Non si ferma la violenza in Cile dove il numero dei morti è salito a 11 da venerdì. Cinque persone sono rimaste asfissiati in una fabbrica di abiti che era stata assediata e saccheggiata durante gli atti vandalici. Oggi manifestanti hanno incendiato gli uffici dell'anagrafe di Lo Espejo, nella regione metropolitana della capitale Santiago del Cile, provocando danni ingenti. Molti documenti sono andati distrutti.
Partite come protesta per l'aumento dei biglietti della metro, le manifestazioni nella regione di Santiago si sono ormai radicalizzate e riflettono la rabbia dei cittadini di un Paese tra i più ricchi del Sudamerica ma dove sono profonde le disuguaglianze sociali.
Le autorità hanno esteso il coprifuoco e il presidente, Sebastian Pinera, non esita a dire che il Paese sta vivendo una «guerra», un conflitto contro un «nemico potente e implacabile che non rispetta nulla e nessuno». In un'affollata conferenza stampa, circondato dai generali, Pinera ha denunciato che i gruppi violenti che hanno messo a ferro e fuoco il Paese sono «in guerra contro tutti i cileni che vogliono vivere in democrazia. Siamo in guerra contro un nemico potente e implacabile che non rispetta nulla e nessuno e che è disposto a usare una violenza senza limiti anche quando ciò comporta la perdita di vite umane, con l'unico scopo di produrre il maggior danno possibile».
Carri armati in strada: è la prima volta dopo la dittatura
Il presidente, un miliardario conservatore entrato in carica nel marzo 2018 dopo essere stato presidente tra il 2010 e il 2014, ha detto di comprendere il malessere dei cittadini, ma ha aggiunto che le persone che causano incendi, barricate e saccheggi sono «veri criminali«. Il governo d'altra parte è convinto di essere di fronte a una violenza «organizzata» e ha schierato soldati e carri armati, per la prima volta dal 1990, quando il Cile tornò alla democrazia dopo la dittatura di Augusto Pinochet. Il ministro dell'Interno, Andrès Chadwick, ha detto che nelle strade sono schierati 10.500 uomini tra militari e forze di polizia, e che se necessario saranno aumentati.
Intanto si cerca di correre ai ripari. In una seduta straordinaria, la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge per annullare l'aumento dei prezzi della metropolitana della capitale. Lo scorso 6 ottobre, la Metro de Santiago, una compagnia privata partecipata dallo Stato, ha aumentato il prezzo del biglietto nelle ore di punta di 30 pesos, fino a 830 pesos (circa 1,2 dollari).
Il prezzo era stato stabilito da un gruppo di esperti sulla base di numerosi indicatori, quali l'inflazione, il costo delle forniture per il funzionamento, il tasso di cambio. In segno di protesta, centinaia di cittadini, in particolare studenti delle scuole superiori e universitari, lunedì scorso hanno cominciato a bypassare i tornelli e a sradicarli, in modo che tutti potessero accedere alle piattaforme senza pagare. Poi, mano a mano, la protesta si è estesa ad altre aree del Paese; gli atti di vandalismo si sono moltiplicati, con barricate in strada, incendi e saccheggi a negozi e supermercati. È il segno evidente dell'insofferenza per il costo della vita, la disuguaglianza sociale e riforme economiche che non arrivano.
I vescovi: comprendere le radici della violenza e prevenirla
«Il primo obbligo di tutti coloro che esercitano un qualche tipo di leadership nel Paese è comprendere il profondo malessere delle persone e delle famiglie che sono colpite da disuguaglianze ingiuste, da decisioni arbitrarie che li riguardano nella loro vita quotidiana e da pratiche quotidiane che considerano abusive, perché feriscono in particolare i gruppi più vulnerabili». Lo scrive il Consiglio permanente della Conferenza episcopale cilena.
L'episcopato cileno condanna «decisamente la violenza che si è verificata nella capitale del Paese con attacchi a persone, distruzione di proprietà, saccheggio di locali commerciali e privazione di centinaia di migliaia di compatrioti di un servizio di trasporto che è alla base della mobilità in città». Allo stesso tempo, «affinché questa condanna sia efficace, dobbiamo assumerci la responsabilità di comprendere le radici di quella violenza e lavorare urgentemente per prevenirla, fermarla e generare modi pacifici per prendersi carico dei conflitti». «È tempo di passare dalla preoccupazione all'azione, all'accettazione e alla creazione di scenari che ci consentano di comprendere i cambiamenti che la società cilena ha vissuto, in modo che le istituzioni possano essere al servizio del bene comune, a partire dalle complesse e nuove realtà che caratterizzano la società di oggi. È tempo di guardare con verità, a faccia scoperta, le nostre ricchezze e successi, i nostri conflitti e fallimenti».
Partite come protesta per l'aumento dei biglietti della metro, le manifestazioni nella regione di Santiago si sono ormai radicalizzate e riflettono la rabbia dei cittadini di un Paese tra i più ricchi del Sudamerica ma dove sono profonde le disuguaglianze sociali.
Le autorità hanno esteso il coprifuoco e il presidente, Sebastian Pinera, non esita a dire che il Paese sta vivendo una «guerra», un conflitto contro un «nemico potente e implacabile che non rispetta nulla e nessuno». In un'affollata conferenza stampa, circondato dai generali, Pinera ha denunciato che i gruppi violenti che hanno messo a ferro e fuoco il Paese sono «in guerra contro tutti i cileni che vogliono vivere in democrazia. Siamo in guerra contro un nemico potente e implacabile che non rispetta nulla e nessuno e che è disposto a usare una violenza senza limiti anche quando ciò comporta la perdita di vite umane, con l'unico scopo di produrre il maggior danno possibile».
Carri armati in strada: è la prima volta dopo la dittatura
Il presidente, un miliardario conservatore entrato in carica nel marzo 2018 dopo essere stato presidente tra il 2010 e il 2014, ha detto di comprendere il malessere dei cittadini, ma ha aggiunto che le persone che causano incendi, barricate e saccheggi sono «veri criminali«. Il governo d'altra parte è convinto di essere di fronte a una violenza «organizzata» e ha schierato soldati e carri armati, per la prima volta dal 1990, quando il Cile tornò alla democrazia dopo la dittatura di Augusto Pinochet. Il ministro dell'Interno, Andrès Chadwick, ha detto che nelle strade sono schierati 10.500 uomini tra militari e forze di polizia, e che se necessario saranno aumentati.
Intanto si cerca di correre ai ripari. In una seduta straordinaria, la Camera dei deputati ha approvato il disegno di legge per annullare l'aumento dei prezzi della metropolitana della capitale. Lo scorso 6 ottobre, la Metro de Santiago, una compagnia privata partecipata dallo Stato, ha aumentato il prezzo del biglietto nelle ore di punta di 30 pesos, fino a 830 pesos (circa 1,2 dollari).
Il prezzo era stato stabilito da un gruppo di esperti sulla base di numerosi indicatori, quali l'inflazione, il costo delle forniture per il funzionamento, il tasso di cambio. In segno di protesta, centinaia di cittadini, in particolare studenti delle scuole superiori e universitari, lunedì scorso hanno cominciato a bypassare i tornelli e a sradicarli, in modo che tutti potessero accedere alle piattaforme senza pagare. Poi, mano a mano, la protesta si è estesa ad altre aree del Paese; gli atti di vandalismo si sono moltiplicati, con barricate in strada, incendi e saccheggi a negozi e supermercati. È il segno evidente dell'insofferenza per il costo della vita, la disuguaglianza sociale e riforme economiche che non arrivano.
I vescovi: comprendere le radici della violenza e prevenirla
«Il primo obbligo di tutti coloro che esercitano un qualche tipo di leadership nel Paese è comprendere il profondo malessere delle persone e delle famiglie che sono colpite da disuguaglianze ingiuste, da decisioni arbitrarie che li riguardano nella loro vita quotidiana e da pratiche quotidiane che considerano abusive, perché feriscono in particolare i gruppi più vulnerabili». Lo scrive il Consiglio permanente della Conferenza episcopale cilena.
L'episcopato cileno condanna «decisamente la violenza che si è verificata nella capitale del Paese con attacchi a persone, distruzione di proprietà, saccheggio di locali commerciali e privazione di centinaia di migliaia di compatrioti di un servizio di trasporto che è alla base della mobilità in città». Allo stesso tempo, «affinché questa condanna sia efficace, dobbiamo assumerci la responsabilità di comprendere le radici di quella violenza e lavorare urgentemente per prevenirla, fermarla e generare modi pacifici per prendersi carico dei conflitti». «È tempo di passare dalla preoccupazione all'azione, all'accettazione e alla creazione di scenari che ci consentano di comprendere i cambiamenti che la società cilena ha vissuto, in modo che le istituzioni possano essere al servizio del bene comune, a partire dalle complesse e nuove realtà che caratterizzano la società di oggi. È tempo di guardare con verità, a faccia scoperta, le nostre ricchezze e successi, i nostri conflitti e fallimenti».