Keir Starmer e la moglie Victoria dopo la pubblicazione degli exit poll - Fotogramma
Nel 2021, quando i Tory vinsero le suppletive di Hartlepool, portando a destra un altro storico collegio del muro rosso, si dice che Keir Starmer, da un anno alla guida del partito laburista, fosse talmente deluso e amareggiato da aver pensato a un passo indietro. Agli amici più stretti avrebbe confidato: «Ma che ci sto a fare qui? Non è questo il sogno della mia vita. Sarei più felice di andare a lavorare in una libreria». È l’aneddoto che sintetizza la parabola ascendente del nuovo primo ministro britannico: un uomo «ordinario» a cui è riuscita un’impresa straordinaria.
Starmer è nato a sud di Londra nel 1962 ma è cresciuto a Oxted, piccola cittadina del Surrey, in una modesta famiglia laburista. Pare che la madre Josephine e il padre Rodney – infermiera lei, operaio lui – abbiano deciso di dare al secondo dei loro quattro figli, Keir, il nome del fondatore del partito: Keir Hardie. Secondo alcuni, l’indole estremamente riservata e a tratti anaffettiva del premier sarebbe il risultato di un’infanzia segnata da un padre “difficile”, convinto che gli altri lo guardassero sempre dall’alto in basso, e da una madre malata, affetta da una rara forma di artrite, costretta in tarda età alla sedia a rotelle.
Nonostante le difficoltà economiche, Keir, il “superboy” che non risparmiava cazzotti ai bulli che offendevano il fratello con difficoltà di apprendimento, è riuscito a studiare. Si è prima laureato in legge all’Università di Leeds, poi si è specializzato al prestigioso college Saint Edmund Hall di Oxford. I suoi primi passi nel mondo dell’avvocatura li ha mossi all’inizio degli anni ’90 nell’ambito dei diritti umani seguendo alcune cause sulla pena di morte nei Caraibi. Ha raccontato di aver cominciato a pensare di entrare in politica durante le consulenze prestate alle forze di polizia dispiegate in Irlanda del Nord durante i Trouble: «Ho capito allora – ha sottolineato in un vecchio articolo – che le cose si possono cambiare meglio dall’interno».
Nel 2008, un anno dopo il matrimonio con Victoria Alexander, la donna di origini ebraiche conosciuta durante la campagna elettorale per Tony Blair del 1997, è diventato procuratore capo della Corona. È stato eletto per la prima volta a Westminster nel 2015. Nell’allora governo “ombra” di Jeremy Corbyn è stato prima ministro per l’immigrazione poi referente per la Brexit. Non è chiaro se allora avesse archiviato definitivamente le istanze socialiste della giovinezza. Secondo il Telegraph, il giovane Starmer, che per un periodo è stato anche repubblicano, sollecitato in un colloquio di lavoro a spiegare come avrebbe difeso un taccheggiatore alla prima infrazione, avrebbe risposto con una citazione: «Non è forse tutta la proprietà un furto?». Di certo c’è che quando è arrivato al vertice dei Labour, nel 2020, eletto al primo turno con il 56,2%, dei consensi, si è dedicato anima e corpo a ripulire il partito dalle infiltrazioni estremiste in odore antisemita ereditate dal predecessore Corbyn e a rafforzare il centro.
Il suo profilo, oggi, è quello di un uomo mite. Di un padre geloso delle coccole che i suoi due figli riservano al gatto Jojo. Di un “Sir”, il titolo glielo ha dato la regina Elisabetta nel 2014, gentile con i gentili, duro i duri. Più responsabile che ambizioso. Un sedicente ateo, convertito alla dieta pescetariana dalla moglie “Lady Vic”, fedele alla sua amata squadra di calcio, l’Arsenal, e al pub Pineapple, nel quartiere Kentish Town, dove era solito passare le serate con gli amici a bere Marston’s ambrata e Negroni. Qui, di lui si parla, semplicemente, come di un «bravo ragazzo», di tanta decenza e integrità quanto la politica di alto livello permette.