MIgranti implorano l'asilo in ginocchio a Tijuana - Ansa
Si sono fermati a qualche centimetro dalla valla, la prima sbarra che divide la messicana Tijuana dalla gemella Usa San Diego. Donne, uomini, bambini provenienti dall’Honduras si sono inginocchiati e così sono rimasti per ore, in silenzio. Sulle magliette – bianche – la scritta in inglese «Biden, lasciaci entrare». Finita l’immobilità artificiale provocata dalla prima, lunga fase di pandemia, i migranti hanno ripreso a bussare alle porte dell’America. Con forza: 100mila fermati dalla polizia di frontiera a febbraio, 75 a gennaio e 71mila il mese precedente. Nella sola giornata di mercoledì sono stati catturate 4.500 persone e i numeri potrebbero crescere ancora a marzo. Perché il Covid ha inferto un colpo durissimo alle già fragili economie latinoamericane e centroamericane, in particolare. L’ultimo rapporto della Commissione Onu per la regione (Cepal) rivela che un cittadino su otto soffre la fame, il 12, 5 per cento della popolazione del Continente, la cifra più alta da vent’anni. L’incremento del flusso era previsto. Tanto più ora che Donald Trump ha lasciato la Casa Bianca. E il successore sta abbattendo il muro di leggi anti-immigrazione. La svolta di Biden, in realtà, riguarda, da una parte, la proposta di regolarizzare gli immigrati residenti da anni o decenni negli Usa. Dall’altra, l’eliminazione della pratica del tycoon di “esternalizzare” l’asilo, riportando negli Usa i richiedenti distribuiti, a partire dal 2019, tra Messico, Honduras, El Salvador e Guatemala. Poco o niente è mutato per i nuovi arrivati. Del resto, fin dal principio, il segretario per la Sicurezza nazionale, Alejandro Mayorakis era stato fermo: «Non venite, non ora».
Sulle magliette avevano scrito:«Biden, lasciaci entrare» - Ansa
La frontiera continua ad essere blindata, come da un anno a questa parte, causa pandemia. E tutti i fermati – inclusi quanti aspirano alla protezione umanitaria – vengono espulsi immediatamente. L’unica eccezione, il presidente democratico l’ha concessa ai minori non accompagnati che, dal 12 febbraio scorso, vengono accolti fino a quando l’esito della domanda non verrà esaminato. Difficile, dunque, che il drammatico aumento dei baby-migranti soli – oltre 5.800 a gennaio e oltre 7mila nelle ultime tre settimane – sia un effetto della misura. Più probabile che si tratti di una conseguenza dell’ormai cronica crisi centroamericana, acuita dal Covid. Semmai si può presumere che, con l’uscita di scena di Trump, sia venuto meno l’effetto-pressione sul Messico per stoppare il flusso prima dell’arrivo al confine. In ogni caso, il nodo dei bimbi-profughi è scottante. Da quando Biden ha deciso di accoglierli, le strutture dei servizi sociali – che devono accoglierle fino ad aver trovato un parente o una famiglia affidataria – sono già vicine al limite massimo. L’Amministrazione sta cercando ogni spazio disponibile per improvvisare nuovi alloggi. Eppure Mayorkas insiste: «Non c’è una crisi alla frontiera. È una sfida che stiamo affrontando». Di tutt’altro parere Trump che, in un’email alla stampa, ha parlato di «tsunami di migranti» e di un «confine fuori controllo». Puntuale la replica della Casa Bianca: «Non accettiamo lezioni da chi, per quattro anni, ha realizzato una politica disumana e inefficace».