sabato 15 giugno 2024
In 160 hanno partecipato all'iniziativa promossa dall'arcidiocesi di Bologna in collaborazione con il Patriarcato di Gerusalemme. «La sofferenza di israeliani e palestinesi chiede di essere ascoltata»
Il patriarca Pierbattista Pizzaballa con il cardinale Matteo Zuppi e il presidente di Pax Christi, monsignor Giovanni Ricchiuti a Gerusalemme

Il patriarca Pierbattista Pizzaballa con il cardinale Matteo Zuppi e il presidente di Pax Christi, monsignor Giovanni Ricchiuti a Gerusalemme

COMMENTA E CONDIVIDI

«Molti dicevano che non era il momento: troppi problemi e troppa sensibilità. In questi giorni in Terra Santa, invece, tutti ci hanno ripetuto il contrario. “Ci ricorderemo del fatto che siete venuti mentre sperimentavamo lo sconforto dell’abbandono”. Non portiamo soluzioni, solo amore da condividere. Come quando si va a fare visita all’amico malato. A qualcuno può sembrare inutile perché pensa solo a salvare se stesso. Non c’è, però, salvezza da soli. La pace è sempre insieme». Il cardinale Matteo Maria Zuppi pronuncia queste parole al termine del pellegrinaggio che, da giovedì, ha portato nei luoghi del Vangelo 160 persone provenienti da varie parte d’Italia. Un’iniziativa promossa dall’arcidiocesi di Bologna in collaborazione con il Patriarcato latino di Gerusalemme a cui hanno aderito decine di associazioni laiche e cattoliche. Il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) ha guidato la missione di pace insieme al patriarca Pierbattista Pizzaballa, il quale ha espresso gratitudine: «Venire qui a darci fiducia, solidarietà, vicinanza, è esattamente ciò di cui abbiamo necessità». «Un Triduo», definisce la missione il cardinale Zuppi. «Siamo in un lungo Sabato Santo in cui sperimentiamo le conseguenze terribili del male del Venerdì di Passione – sottolinea –. Il nostro atteggiamento, però, è quello delle donne che continuano a preparare gli oli profumati».

A colpire l’arcivescovo di Bologna, nei numerosi incontri con le differenti comunità e fedi adagiate “tra il Giordano e il mare”, la sofferenza profonda. «Una sofferenza che chiede di essere accolta e ascoltata. Solo così inizia la pace: non evitando il male bensì capendo il dolore dell’altro e facendolo proprio. Se non vediamo la croce, le croci, le guerre, i volti le storie, le torture, le armi, non capiremo mai davvero, resteremo innamorati della nostra idea non del Vangelo di Gesù crocifisso per la vita», spiega il cardinale Zuppi. Da qui la scelta di asciugare tutte le lacrime, senza distinzione: dei familiari degli ostaggi israeliani sequestrati da Hamas il 7 ottobre, degli abitanti della Cisgiordania per cui l’occupazione si è fatto ancora più dura negli ultimi otto mesi, di quanti hanno parenti nell’abisso di Gaza dilaniata dalla guerra, dei cristiani imprigionati nell’escalation, dei piccoli malati del Caritas baby hospital di Betlemme. «Rachel, mamma di Hersh, 23enne rapito al Festival Nova, mi ha commosso con il suo coraggio e la sua saggezza. “Non deve esserci una gara fra i dolori. Tutti soffrono. Non voglio che la mia afflizione ne provochi altra”, mi ha detto. E ha aggiunto: “Unisco la mia sofferenza a quella dei tanti innocenti uccisi nella Striscia”. Solo quando due dolori diventano un amore unico, troviamo la via della pace». Un cammino stretto, impervio, spesso accidentato. L’unico, però, che allontana gli esseri umani dalla barbarie disumanizzante della guerra. Un cammino che tante donne e uomini in Israele e Palestina sono impegnati a percorrere, a dispetto di certa narrativa dominante sul “conflitto inevitabile”.

Settimana dopo settimana, cresce la partecipazione di quanti, a Gerusalemme o Tel Aviv o Haifa, invocano il cessate il fuoco e il ritorno a casa dei sequestrati. Il movimento per la pace, in Israele come in Palestina, è sopravvissuto al trauma del 7 ottobre e lavora quotidianamente per tenere aperti canali di dialogo fra i due popoli. Purtroppo, però, le parti sembrano sorde al grido della società civile. I combattimenti vanno avanti a oltranza a Rafah dove, ieri, otto soldati di Tel Aviv sono stati massacrati dall’esplosione, a causa di una mina, del blindato su cui viaggiavano. A preoccupare, poi, è l’escalation nel nord, con il moltiplicarsi degli “attacchi mirati” israeliani e dei lanci di razzi da parte di Hezbollah. Secondo la Cbs, Washington teme che il governo di Benjamin Netanyahu stia preparando un’operazione più vasta lungo il confine libanese. Per scongiurare il rischio, domani arriverà nello Stato ebraico l’inviato speciale della Casa Bianca, Amos Hochstein

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: