Si chiamava Samuel, aveva sei anni e veniva dal Congo. Il mare ha portato il suo corpo sulla spiaggia di Mangueta en Zahora, vicino a Cadice, venerdì scorso. Quel giorno, però, sulla costa non c’era un fotografo per catturare l’immagine del piccolo cadavere riverso sul bagnasciuga. Forse per questo, a differenza di Aylan, di Samuel non c’è traccia sulle reti sociali.
Le stesse autorità andaluse hanno liquidato la vicenda con una breve dichiarazione. Per buona parte dei media spagnoli e dell’opinione pubblica, il piccolo non è mai esistito. La diocesi di Cadice e Ceuta, invece, ha voluto ricordarlo con una preghiera sulla spiaggia. Un modo concreto per esprimere solidarietà - si legge nel comunicato della diocesi – «a quanti sono costretti ad abbandonare la propria terra in cerca di una vita migliore». All’iniziativa, hanno partecipato decine e decine di persone, tra i quali anche esponenti di altre religioni e non credenti. Attivisti e cittadini hanno denunciato la crudeltà di una legislazione che costringe i migranti a rischiare la vita per realizzare il “sogno europeo”. Proprio come Aylan, anche Samuel fuggiva dalla violenza dimenticata che dilania la regione orientale del Congo e buona parte dell’Africa subsahariana.
Un altro dramma invisibile
Il 13 gennaio, è partito dal litorale Marocco insieme alla madre, Veronica. Avrebbe voluto raggiungere Ceuta, l’enclave spagnola in territorio marocchino, blindato da una triplice barriera. La valla, la chiamano. Tentare il salto è praticamente impossibile per donne e bambini. Questi, dunque, devono intraprendere la via del mare, a bordo dei barconi. Quello su cui viaggiavano Samuel e Veronica, però, come spesso accade, non ha mai raggiunto l’Andalusia: le onde l’hanno risucchiato. Solo il cadavere di Samuel, alla fine, è arrivato in Spagna