Theresa May ancora sconfitta in parlamento sulla Brexit concordata con Bruxelles (Ansa)
Per evitare un balzo nei prezzi per i consumatori, il Regno Unito taglierà i dazi sulle importazioni in caso di Brexit senza accordo, applicando un regime temporaneo che potrebbe durare fino a 12 mesi in attesa di definire tramite negoziati un sistema permanente. Lo ha detto stamani il ministro delle Politiche commerciali, George Hollingbery: «Se usciamo senza un accordo, imposteremo a zero la maggior parte dei nostri dazi sulle importazioni, mentre terremo i dazi per le industrie più sensibili».
Il Parlamento di Westminster non ci sta e, per la seconda volta, respinge l’accordo sulla Brexit negoziato dalla premier Theresa May con l’Ue. I numeri – 391 no, 242 sì – descrivono una sconfitta poco meno schiacciante rispetto a quella di gennaio, quando il piano fu respinto con uno scarto di 230 voti. Il risultato politico resta comunque disastroso. A due settimane esatte dalla scadenza entro cui la Gran Bretagna deve lasciare l’Ue (29 marzo), il no della Camera dei Comuni all’accordo suona come una sfida a Bruxelles dagli esiti incerti e pericolosi.
Registrata la sconfitta la premier si è limitata appena a confermare che, come annunciato, nella giornata di mercoledì 13 marzo l’Aula verrà chiamata a decidere se escludere, o meno, l’ipotesi (a lei non gradita) di uscire dall’Ue senza un accordo. Nel caso in cui i deputati respingano anche questa possibilità, domani, si voterà per dare al governo il mandato di avviare le procedure di posticipo della Brexit.
La speranza che il piano potesse essere approvato è durata appena qualche ora. Lunedì, a mezzanotte, May ha presentato in una conferenza stampa improvvisata con il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Junker, il documento con cui l’Ue si era impegnata all’ultimo momento a garantire una «maggiore chiarezza giuridica» del backstop, la contestata clausola di garanzia del confine nordirlandese che su cui il processo verso la Brexit si è inceppato. La premier ha pensato che quella mano tesa da Bruxelles a Londra avrebbe convinto i falchi brexiteer del partito conservatore a sostenerla, all’indomani, nel voto in Parlamento.
Così, invece, non è andata. Il parere legale all’integrazione dell’accordo che il procuratore generale Geoffrey Cox ha diffuso in mattinata ha, a sorpresa, fatto passare l’idea che quella mano tesa potesse essere una trappola. «Il rischio legale» di una durata indefinita del backstop, ha detto, «rimane invariato». La dichiarazione ha dato la spallata finale al piano May. Allarmati da Cox, i brexiteer più oltranzisti dei Tory, un’ottantina di deputati guidati da Jacob Rees-Mogg e Boris Johnson, non hanno avuto più alcun dubbio, se mai ce ne fosse stato uno, e hanno votato contro l’accordo. Identica la reazione degli unionisti nordirlandesi del Dup.
Se oggi, tuttavia, dovesse concretizzarsi l’incubo di una separazione no deal, così invisa a tanti leader europei, prima fra tutti la cancelliera tedesca Angela Merkel, qualcuno pensa che l’Ue potrebbe concedere un compromesso più significativo sul backstop al vertice europeo del 21 e 22 marzo. In tal caso, ci sarebbe tempo per chiedere al Parlamento un altro voto prima del 29 marzo. È pur vero, però, che il braccio di ferro tra Londra e Bruxelles sta logorando la pazienza di entrambi.