Un'altra giornata infuocata alla Camera dei Comuni (Ansa/Ap)
Il Parlamento britannico terrà lunedì una nuova votazione su una mozione riguardante la possibilità di andare alle elezioni anticipate. Lo ha annunciato stamani il leader della Camera dei Comuni, Jacob Rees-Mogg.
«Re Boris» ha perso la seconda battaglia dell’aspra guerra ingaggiata contro il Parlamento per realizzare ad ogni costo la Brexit. Ma non è nemmeno riuscito a fare passare la richiesta di andare al voto anticipato, bocciata addirittura da 298 deputati contro 56. Una pesantissima doppia sconfitta per il premier Johnson..
L’Aula di Westminster, ieri sera, ha approvato la legge che impegna il governo a chiedere all’Ue un posticipo della separazione del Regno Unito dal continente al 31 gennaio 2020, salvo approvazione di un accordo entro il 19 ottobre. Il provvedimento, passato con 327 voti favorevoli e 299 contrari, porta il nome della deputata laburista Hillary Benn.
Poi è arrivato il «no» alla proposta di andare alle urne il 15 ottobre. Boris Johnson era convinto, nonostante tutto, di poter ancora vincere la guerra convocando appunto le elezioni anticipate, ma ha sbagliato i conti.
Johnson cerca di interpretare la parte del premier, sfacciatamente sicuro, che avverte a mala pena il colpo. L’esito della votazione era del resto stato ampiamente anticipato considerata l’epurazione dal partito dei «ribelli» che, martedì sera, hanno votato con l’opposizione per avviare il dibattito d’urgenza sul “no deal” e l’ormai conclamata assenza di una maggioranza di lavoro che, ieri, nel pomeriggio, ha continuato a perdere pezzi.
Il nervosismo si taglia invece a fette. Lo si era capito già durante il dibattito che ha preceduto il voto definitivo della legge con uno scambio dialettico ai limiti della decenza british. Il provvedimento Benn, ha tuonato il primo ministro Johson, segna la resa dei 21 deputati della “rebel alliance” al «pollo clorinato» di Corbyn, il «pappamolla» che su Brexit non ha fatto altro che «tergiversare e rimandare», un codardo che prima si dice «deliziato» dall’idea di portare il Paese alle urne ma che poi dichiara guerra al governo sulla mozione, presentata all’aula al termine della giornata, che apre la via alle elezioni anticipate. La raffica di proiettili sciorinata sul laburista si traduce in un proclama da campagna elettorale, al momento però scongiurata: la legge voluta da Corbyn, e dalla sua coalizione di opposizione, «pregiudicherà la capacità negoziale del Paese».
Il provvedimento Benn, che ha recepito un emendamento che lega il rinvio alla possibile approvazione di una versione dell’accordo di Theresa May (già bocciato più volte dall’Aula), passa adesso alla Camera dei Lord che dovrebbe approvarla entro lunedì visto che, per effetto dell’“editto Johnson”, entrambi i rami del Parlamento verranno sospesi dal 10 settembre al 14 ottobre.
L’annunciato ostruzionismo a oltranza dei brexiteer conservatori alla Camera alta ha suggerito a qualche Lord l’opportunità di fare rifornimento di cibo, cambi d’abito e rasoi da barba prima di entrare in Aula. Salvo sorprese, il testo verrà approvato. Stando alla prassi, il titolare di Downing Street dovrebbe a quel punto prendere carta e penna e scrivere una missiva a Bruxelles per chiedere il posticipo della separazione dal 31 ottobre al 31 gennaio del prossimo anno. Le possibilità che l’Ue risponda con un «no» sono, oggettivamente, molto remote. La domanda, quasi scontata ma non banale, che dall’Europa potrebbe rimbalzare verso Londra è: a cosa vi serve questo nuovo posticipo?