«L’Amazzonia non è patrimonio dell’umanità». Non è nemmeno il polmone del mondo. Appartiene al Brasile, che ne può fare quello che vuole, anche campi di soia, se vuole, perché «non ci può essere libertà politica senza libertà economica». Jair Bolsonaro, che ha in passato sostenuto di voler convertire la foresta pluviale fattorie e pascoli di bestiame, spiazza ancora una volta il mondo, rivendicando dal palco dell’Assemblea Generale dell’Onu la «proprietà esclusiva» dell’Amazzonia e negando la gravità degli incendi che la devastano da settimane.
«La regione amazzonica rimane virtualmente intatta, ed è la prova del fatto che siamo uno dei Paesi che più protegge l’ambiente – ha detto il presidente brasiliano dal Palazzo di Vetro –. Durante questa stagione la siccità favorisce incendi spontanei, tutti i Paesi hanno problemi, ma gli attacchi sensazionalistici dei media internazionali hanno risvegliato il nostro sentimento patriottico». Il dibattito internazionale sulla resaponsabilità dei roghi e l’offerta di aiuti per salvare l’Amazzonia sarebbero dunque, a dire del presidente di estrema destra, l’effetto di notizie false, di un atteggiamento «coloniale» nei confronti del Brasile e di un «ambientalismo radicale». Un discorso polemico, che si è posto in diretta contrapposizione con posizioni che raccolgono il consenso della comunità internazionale e che isolerà ulteriormente il Brasile. Ma che ha ritrovato echi nell’inno all’unilateralismo lanciato poco dopo dallo stesso podio da Donald Trump.
Il presidente Usa ha infatti usato il suo intervento all’Onu per ribadire, con ancora maggior forza, la linea della America first, l’America al primo posto, che ha guidato la sua politica estera e che aveva creato inquietudine fra gli alleati Usa durante le prime apparizioni internazionali del capo della Casa Bianca. «Il futuro non appartiene ai globalisti. Il futuro appartiene ai patrioti. Il futuro appartiene a Paesi forti e indipendenti», ha detto Trump, strizzando implicitamente l’occhio alla sua base elettorale che sarà chiamata alle urne fra poco più un anno per scegliere se confermarlo o meno nell’incarico, e precisando che il «globalismo ha esercitato un’attrazione religiosa sui leader del passato facendo sì che alla fine questi ignorassero i loro interessi nazionali. Quei giorni sono finiti». Il capo di Stato americano, che dall’inizio del suo mandato ha messo in pratica una politica di tolleranza zero nei confronti dell’immigrazione illegale e ha limitato fortemente quella legale, ha quindi invitato i leader del mondo a fare come lui e a dare la priorità a confini sicuri e ad accordi commerciali bilaterali.
Trump ha dato l’esempio, sostenendo di aspettarsi di chiudere un’intesa di libero scambio con il Regno Unito, dopo l’uscita di Londra dall’Unione Europea, e auspicandosi di poter risolvere la disputa commerciale con la Cina, che ha però duramente criticato. «Pechino ha abbracciato un modello economico dipendente da enormi barriere di mercato, forti sussidi statali, manipolazione della valuta, trasferimenti di tecnologia forzata e furto della proprietà intellettuale», ha detto Trump, che ha esortato la Cina a tutelare «gli stili di vita democratici» a Hong Kong, alla luce delle dure proteste che proseguono nell’ex colonia britannica.
Il presidente Usa si è però appellato alla comunità internazionale affinché faccia quadrato contro l’Iran, e ha persino parlato di «dovere del mondo di agire» per punire gli «attacchi violenti» di Teheran alle strutture petrolifere saudite il 14 settembre e per fermare il suo «desiderio di sangue». Attacchi dei quali, dall’Onu, anche i leader di Francia, Germania e Gran Bretagna per la prima volta hanno indicato la Repubblica islamica come responsabile. Il presidente iraniano Hassan Rohani, durante un incontro a New York con il suo omologo francese, Emmanuel Macron, ha respinto le accuse, mentre Trump concludeva il suo discorso minacciando l’Iran di ancora nuove sanzioni ma sottolineando che gli Stati Uniti «non vogliono chiudere le porte alla diplomazia».
Macron ha però più tardi espresso la speranza di vedere progressi sulla questione iraniana, già «nelle prossime ore», per disinnescare la crisi. Un esplicito riferimento allo sforzo del capo dell’Eliseo di organizzare un incontro diretto tra Rohani e Trump a margine dell’Assemblea generale.