Studenti rapiti nello Stato nigeriano di Katsina dopo la liberazione lo scorso anno - Ansa
Non ci sono solo le vittime dirette, quelle degli attentati, dei rapimenti, degli assalti ai villaggi. Ma anche quelle indirette, che rappresentano l’impatto generale che oltre dodici anni di terrorismo hanno provocato nel nord-est della Nigeria. Ebbene, secondo l’ultimo rapporto del Programma Onu per lo sviluppo (Undp) i terroristi islamici di Boko Haram sono responsabili, al 2020, della morte di quasi 350mila persone, la maggior parte per malattia e fame. Un bilancio che è dieci volte più grave rispetto alle stime precedenti, che tenevano conto di 35mila vittime soltanto nei combattimenti, negli scontri, negli assalti degli ultimi dodici anni. Insomma, «l’intero costo umano della guerra è molto più grave», come sottolinea lo studio di Undp, intitolato “Valutazione dell’impatto del conflitto sullo sviluppo nel nord-est della Nigeria” e diffuso dalle autorità nigeriane. Secondo gli esperti, tra l’altro, oltre il 90 per cento delle morti attribuibili al conflitto (circa 324mila) sono rappresentate da bambini di età inferiore ai cinque anni. Migliaia di sfollati, infatti, non hanno accesso a cibo, strutture sanitarie, rifugi e acqua pulita, con una maggiore vulnerabilità dei bambini, si aggiunge nel rapporto.
Boko Haram si è rivista in due nel 2016 con la nascita della fazione rivale Provincia occidentale dello Stato Islamico (Iswap), alleata del Daesh e diventata minaccia dominante. Nonostante le operazioni militari in corso, i miliziani jihadisti hanno continuato a sferrare attacchi non solo in Nigeria, ma anche in diverse zone dei confinanti Camerun, Ciad e Niger. Nella regione del Lago Ciad, l’Onu ha detto che «oltre 3,2 milioni di individui sono sfollati, con 5,3 milioni di persone la cui insicurezza alimentare è ai livelli di crisi e di emergenza». La situazione peggiore resta quella degli Stati nigeriani del nord-est: Borno, Adamawa e Yobe. «Nel solo nord-est della Nigeria, 13,1 milioni di persone vivono in aree colpite dal conflitto, di cui 8,7 milioni hanno bisogno di assistenza immediata», afferma l’Onu. Nonostante gli annunci delle autorità, non si intravede una potenziale conclusione per quella che è una delle peggiori crisi umanitarie al mondo. Secondo l’Undp, se il conflitto continuerà fino al 2030 oltre 1,1 milioni di persone potrebbero morire. «La distruzione e lo sfollamento hanno rallentato di decenni lo sviluppo nella regione e il conflitto continuo non farà che provocare nuove cicatrici all’intera area», evidenzia l’Undp.
Nei giorni scorsi Boko Haram ha confermato la morte del proprio storico leader Abubakar Shekau, morto in combattimento contro i rivali della Iswap, che per primi ne avevano dato notizia. L’annuncio è stato dato da Bakura Modu – detto “Sahaba” –, il presunto nuovo leader del gruppo terrorista che ha promesso di vendicarsi. Shekau si sarebbe fatto esplodere durante i combattimenti tra i due gruppi rivali nella foresta di Sambisa. La scissione che nel 2016 ha portato alla nascita della Iswap, teoricamente perché i membri di questa fazione erano contrari alle uccisioni di civili musulmani, non ha fatto scemare le violenze. I civili, anzi, si sono trovati spesso in mezzo al fuoco incrociato. Dal 2019 l’esercito nigeriano si è ritirato da villaggi e piccole basi per trincerarsi in “supercampi”, una strategia da molti analisti criticata perché consente ai terroristi di muoversi senza ostacoli nelle aree rurali e che, a oggi, non ha portato a risultati consistenti.