martedì 20 febbraio 2024
Oggi il verdetto dell’Alta Corte che potrebbe dare il via libera finale all’estradizione dell’ideatore di WikiLeaks. La consorte Stella ha seguito l'udienza in aula: «E' un fatto politico»
La protesta davanti all'Alta Corte di Londra dove è in corso il processo a Julian Assange

La protesta davanti all'Alta Corte di Londra dove è in corso il processo a Julian Assange - Ansa

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L’ora “X” è scoccata. Si tiene domani mattina all’Alta Corte di Londra la seconda e ultima udienza sull’estradizione di Julian Assange, il fondatore di WikiLeaks, a cui gli Stati Uniti danno la caccia da quindici anni. Per il giornalista australiano che ha fatto conoscere al mondo gli abusi commessi dagli americani in Iraq e Afghanistan è arrivata davvero la fine. La moglie, Stella Morris, ha sintetizzato così stamattina la portata della sentenza definitiva attesa, probabilmente, già in giornata: «Ciò che è successo ad Alexeij Navalny in Russia potrebbe succedere a lui in America». Dichiarazione a effetto per sottolineare che «la questione è di vita o di morte». La donna che ha dato ad Assange due figli ha partecipato, oggi, alla prima delle due udienze finali del processo. È arrivata in tribunale insieme agli avvocati della difesa facendosi largo tra i manifestanti, tra cui molti giornalisti e parlamentari, radunati a centinaia all’ingresso del palazzo gotico per chiedere il “no” all’estradizione e la scarcerazione immediata del detenuto “speciale”. Il reporter, lo ricordiamo, è detenuto nel carcere londinese di Belmarsh dall’11 aprile 2019. È lì che aspetta l’esito del ricorso contro l’ordine di consegna agli Stati Uniti firmato nel 2022 dall’allora ministro degli Interni Priti Patel. Molti si aspettavano di vederlo in aula, per lo meno in remoto, per le ultime arringhe. Ma non ce l’ha fatta. A detta di avvocati e parenti «non sta bene». Molto provato, fisicamente e mentalmente, dalla lunga e isolata reclusione.

Stella Assange all'esterno del tribunale prima dell'udienza

Stella Assange all'esterno del tribunale prima dell'udienza - Reuetrs


Le condizioni di salute di Assange, finito a Belmarsh dopo sette anni di asilo presso l’ambasciata londinese dell’Ecuador, confinato in un piccolo appartamento senza mai uscire, sono state una costante del procedimento. A gennaio 2021 il giudice Vanessa Baraitser rifiutò il via libera all’estradizione proprio perché l’uomo di cui Washington chiede la testa era a rischio suicidio. Decisione poi ribaltata dalle rassicurazioni sul trattamento e le cure che gli Stati Uniti si erano impegnati a garantirgli.
Assange rischia Oltreoceano una condanna fino a 175 anni di carcere. L’accusa è aver pubblicato a partire dal 2010 più di 700mila documenti riservati sulle attività militari e diplomatiche americane. Oggi la difesa ha cercato di dimostrare in questi anni che il caso non è ordinario ma politico. E come tale escluso dal trattato che regola le estradizioni tra Usa e Regno Unito. È questo il concetto ribadito anche ieri dall’avvocato Edward Fitzgerald secondo cui consegnare a Washington un prigioniero come Assange, che avrebbe rischiato di essere assassinato dalla Cia durante la permanenza all’ambasciata ecuadoriana e che sarebbe ancora esposto ad «azioni extragiudiziali», è un «abuso procedurale». Londra, è la domanda (retorica) che circola tra chi lo vuole libero, consegnerebbe alla Russia di Vladimir Putin una persona accusata di aver pubblicato documenti segreti russi?
La questione è spinosa. Soprattutto alla luce delle criticità che l’attuale titolare della Casa Bianca, Joe Biden, è costretto a navigare. È difficile (non impossibile) ipotizzare adesso, nel pieno della sua non facile campagna presidenziale, un eventuale ripensamento. Nel caso in cui il ricorso domani fosse bocciato Assange potrebbe essere caricato su un volo dei servizi Marshal statunitensi in 28 giorni. L’unica cosa che potrebbe bloccarne il decollo è un ordine temporaneo della Corte Europea dei Diritti Umani. È la cosiddetta “regola 39” che nel 2020 consentì a Navalny, vittima di un avvelenato con un agente nervino, di lasciare la Russia per un ricovero in Germania.

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