La socializzazione per combattere l'auto isolamento dei giovani - ANSA
Sung O-hyun ha 32 anni. Ed è una sorta di recidivo: si è ritratto, vivendo in completo isolamento, in diversi momenti della sua vita. Cedendo al “grande ritiro” – quel fenomeno di diserzione dalla vita sociale e affettiva che va sotto il nome, coniato negli anni Novanta in Giappone, di hikikomori - qualcosa come tre anni. La sua prima volta, ha raccontato alla Cnn, avvenne alle scuole medie, quando non uscì di casa per un mese durante le vacanze scolastiche. A 27 anni, dopo un fallimento sul lavoro, Sung si è ritirato nuovamente in quello che percepiva come l’unico luogo sicuro della sua vita: la sua stanza.
"Sono rimasto molto deluso da me stesso, sono diventato molto depresso e ho perso la fiducia nel lavorare di nuovo, quindi mi sono chiuso a chiave nella mia stanza”, ha raccontato. Poi la lenta risalita, il ritorno a una vita fatta di condivisione, grazie anche all’inserimento in una “casa condivisa”, residenze nelle quali i ragazzi sudcoreani vengono accompagnanti in un processo di restituzione alla socialità.
Non si tratta di un caso isolato. Anzi, il fenomeno dell’auto reclusione, dell'auto confinamento in casa molto spesso davanti allo schermo di un computer, non smette di allargarsi. Secondo uno studio pre-pandemico del 2019 condotto dal think tank governativo Korea Institute for Health and Social Affairs circa il 3% della popolazione della Corea del Sud di età compresa tra 19 e 34 anni viveva in isolamento. Nel 2021 la stima è salita al 5%, ovvero 540.000 giovani coreani.
Da quella che era considerata la patria degli hikikomori, il Giappone, il fenomeno sta tracimando. Migrando altrove. Secondo Paul Wong, professore associato all'Università di Hong Kong, nella sola Hong Kong si conterebbero fino a 50mila hikikomori, per lo più studenti delle scuole medie e superiori.
Ah Mun ha trascorso tre anni blindato nella sua camera da letto a Hong Kong. I suoi genitori e fratelli non sapevano cosa fare, ha spiegato. “Ad un certo punto hanno interrotto Internet, sperando che potessi uscire, ma non ha funzionato. Dopo un po' inizi a sentire che uscire è davvero spaventoso, e più passa il tempo, più diventa difficile evadere dalla tua stanza”, ha raccontato Ah Mun. "Alla fine volevo uscire, ma non osavo, non avevo più il coraggio di farlo." Poi l’incontro con i servizi sociali, il lento ritorno alla vita fuori dalla propria casa. Ah Mun oggi aiuta altri hikikomori a sfuggire all'isolamento autoimposto. Anche se le circostanze e le biografie sono diverse, “i sentimenti sono gli stessi”.
Secondo alcune stime il loro numero ha sfondato quota 1,5 milioni tra Hong Kong, Giappone e Corea del Sud. La situazione è particolarmente grave proprio in Giappone: si stima che siano 1,46 milioni le persone in età lavorativa che nel Paese scelgono di vivere come recluse, rifiutandosi di interagire con la società. Il grande ritiro coinvolge più uomini (il 60%) che donne.
Quanto dura in media la reclusione? Il 21,5% dei soggetti tra i 15 ei 39 anni ha dichiarato di aver vissuto in isolamento tra i sei e i 12 mesi, mentre il 17,4% tra i tre e i 5 cinque anni.
“L’hikikomori - ha scritto la psicoanalista Laura Pigozzi - ci parla dell’inquietudine di ogni adolescente, recluso o meno, che riguarda la soglia tra la vita e la morte o, per meglio dire, quel flirt con la morte che non si manifesta più nella vivace prova di coraggio di gruppo, ma nella forma di una disaminazione solitaria”. Ma, a differenza di quanto accadeva in passato, il fenomeno oggi non riguarda più solo l'adolescenza, che viene in qualche modo congelata, protratta, "eternizzata" proprio dalla scelta di ritirarsi dalla vita sociale. il 21,5% degli intervistati – il numero più alto tra quelli di età compresa tra i 15 e i 39 anni – ha indicato come motivo del ritiro il licenziamento.