Aprima vista non si nota. Buenos Aires – la città infinita – che, insieme all’intorno, sfiora i 15 milioni di abitanti, continua nella sua turbolenta normalità. Eppure – assicura il governatore Daniel Scioli – “l’emergenza sicurezza” è già scattata. E 5mila agenti sono stati richiamati per dare manforte ai 72mila poliziotti in servizio. In breve, così, il tema della criminalità ha fatto irruzione nella politica argentina. E in particolare nel peronismo, a caccia dell’erede di Cristina Fernández Kirchner per le presidenziali del 2015. Non a caso il più accanito critico del piano Scioli, peronista moderato, è il rivale Sergio Massa. Al di là delle strumentalizzazioni elettorali, il problema violenza esiste. Ed è indissolubilmente legato all’altro grande “ex-tabù”: il narcotraffico. La raccapricciante dimostrazione sono i 12 linciaggi di ladri, mo-lestatore, piccoli truffatori, avvenuti nelle ultime settimane. Molti nella provincia bonariense. Il primo, però, si è verificato a Rosario. La terza metropoli argentina era fino a qualche tempo fa nota per essere la città natale di Lionel Messi e Ernesto Che Guevara. Da almeno due anni, però, la sua “fama” si deve al record nazionale di omicidi. Oltre 200 nel 2013, almeno 100 da gennaio, in pratica uno al giorno. Un dato allarmante per l’Argentina che a livello latinoamericano è il terzo Paese – dopo Cile e Cuba – con meno assassinii. Il che delinea una tendenza, denunciata già da tempo dagli esperti: la nazione del Plata è “terra di conquista” delle grandi organizzazioni di narcotrafficanti messicani. Il potente cartello di Sinaloa, pioniere nel Continente della produzione di droghe sintetiche, ha iniziato la penetrazione già da un decennio. Con l’obiettivo di importare, grazie alle blande leggi argentine, quei precursori chimici indispensabile per la fabbricazione delle “pasticche”. I messicani hanno scelto come roccaforte Rosario, posta alla fine della “Ruta 34”, storica via d’entrata della coca boliviana, poi esportata in Europa con aerei e navi. Ormai, però, l’Argentina non è solo una Paese-trampolino. Insieme alle pasticche, anche la polvere bianca viene “trattata” in laboratori sparsi per il territorio. La tragica prova è l’esponenziale aumento del consumo di “paco” nelle baraccopoli: gli scarti della lavorazione della coca vengono smerciati per pochi spiccioli nelle “villas miserias”, approfittando della disperazione di tanti. La Chiesa, in prima linea nella lotta alla droga, non si stanca di ripeterlo dal 2009, quando i preti delle periferie pubblicarono una nota denuncia. Lo stesso papa Francesco, da arcivescovo di Buenos Aires, ha fatto molti interventi sul tema. A marzo, la Conferenza episcopale argentina ha rinnovato le sue preoccupazioni, chiedendo «misure urgenti contro il narcotraffico». Che ha messo radici favorito dal rifiuto dello Stato di ammettere il problema. Fino a dominare il territorio ed “importarvi” le sue tecniche brutali. Il presidente della Commissione episcopale per la Pastorale sociale, monsignor Jorge Lozano, ha visto nei linciaggi – duramente condannati «perché si preferisce la roba alla vita umana» – il segno brutale dell’esasperazione dei cittadini di fronte alla «mancanza di risposte» dalla giustizia. Alla fine, a metà febbraio, il ministro della Difesa, Agustín Rossi, ha riconosciuto l’allarme. E, ora, Scioli ha lanciato il piano di emergenza. «La chiave non è la repressione ma la prevenzione – ha detto padre Juan Carlos Molina, capo del dipartimento su droga e narcotraffico –: con investimenti in centri educativi, sportivi e terapeutici».