sabato 21 maggio 2022
I ricchi giacimenti di gas hanno attirato grandi investimenti internazionali, ma hanno scatenato una guerra di bassa intensità che ottobre 2017 (1.676 giorni) ha causato 3mila morti e 800mila sfollati
Bambini profughi fuggiti con le loro famiglie dai combattimenti nella provincia di Capo Delgado, in Mozambico

Bambini profughi fuggiti con le loro famiglie dai combattimenti nella provincia di Capo Delgado, in Mozambico - Ansa/Epa

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Poteva essere il nuovo Eldorado del gas, si è trasformato nell’ennesimo incubo africano. Il Mozambico che negli ultimi anni ha visto la scoperta di giacimenti off shore enormi – tali da renderlo potenzialmente il terzo produttore di gas in Africa – non ha avuto finora alcun vantaggio da queste risorse. La zona di Cabo Delgado, meta di multinazionali del settore dalla francese Total all’italiana Eni, dai cinesi di Cnpc agli americani di ExxonMobil, si è trasformata invece nello scenario di un conflitto «a bassa intensità» che da ottobre 2017 (1.676 giorni) ha causato 3mila morti e 800mila sfollati.

Il malcontento delle comunità locali, costrette dal governo di Maputo ad abbandonare molte aree per far spazio ai progetti di estrazione, si è legato alle storiche rivendicazioni di una delle regioni più povere e dimenticate del Paese. Qui ha così trovato terreno fertile l’influenza islamista di predicatori stranieri che ha alimentato l’insorgere di una guerriglia di miliziani shabaab (i giovani). Una guerriglia che, al di là della presunta matrice ideologica e di una sedicente affiliazione al Daesh, punta soprattutto al controllo del territorio e delle risorse locali.

Dopo la temporanea presa della città di Palma da parte dei miliziani nel marzo di un anno fa, Total ha sospeso le sue operazioni a Cabo Delgado, che prevedono investimenti per 20 miliardi di dollari. Negli ultimi mesi, e dopo il fallimento delle operazioni delle forze di sicurezza mozambicane, solo l’arrivo di militari ruandesi ha consentito al governo di riprendere terreno, anche se i miliziani continuano ad occupare porzioni della regione soprattutto nei distretti vicini a Mocimboa da Praia.

Le autorità locali hanno cominciato a chiedere agli sfollati di far ritorno nei loro villaggi, spesso attaccati dai terroristi, ma il portavoce dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati, Boris Cheshirkov, ha definito questo passaggio «prematuro» a causa dell’insicurezza in corso in alcune parti della provincia. «Da gennaio a metà marzo, ci sono stati altri 24 mila sfollati», ha sottolineato.

Da gennaio, nelle acque antistanti il Cabo, staziona la Coral Sul Flng di Eni, una gigantesca piattaforma galleggiante per l’estrazione di gas naturale. Il progetto, che prevede un investimento di circa 7 miliardi di dollari da parte di Eni, Petronas e Shell, produrrà gas naturale liquefatto per 3,37 milioni di tonnellate all’anno, estraendo gas nel giacimento di Coral Sul. È uno degli interventi che potrebbero portare lavoro, introiti e sviluppo, ma la scoperta delle risorse, ribadiscono gli analisti, è stata finora solo concausa del conflitto.

Nei campi per sfollati – dove si prodigano Ong come l’italiana Medici con l’Africa Cuamm – la situazione resta drammatica. Qui si è rifugiato che è sfuggito agli scontri e alle incursioni dei miliziani. Si sopravvive senza una prospettiva, i bambini non vanno a scuola da anni, il cibo distribuito si riduce a riso e fagioli e le condizioni sanitarie sono al limite, tra malaria, dissenteria, malnutrizione.

Conseguenze «collaterali» di una guerra di cui il mondo sembra non essersi ancora accorto.





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