Il Centro elettorale di Maricopa - Ansa
Stephen Richer oggi andrà al lavoro in giubbotto anti proiettile. « L’ho ottenuto dal governo federale dopo aver ricevuto delle minacce di morte», spiega. Richer è il responsabile della registrazione dei voti della contea di Maricopa, che contiene Phoenix e il 60% degli elettori dell’Arizona. È un centro nevralgico delle presidenziali di oggi, perché, se il risultato fosse in bilico, potrebbe far pendere l’ago della bilancia verso Donald Trump o Kamala Harris.
Essendo una contea chiave, Maricopa è stata al centro di numerose contestazioni nel 2020 e 2022 da parte repubblicana, ed è citata spesso nelle chat dei gruppi estremisti di destra che si schiereranno ai seggi e presso i centri di tabulazione per «osservare» — in assetto da combattimento — il «regolare svolgimento» del voto. Una tempesta perfetta, insomma, che il 39enne Richer, un repubblicano, non ha nessuna intenzione di prendere sottogamba. «Sono stato testimone diretto dei ricorsi mossi contro la contea per ribaltare i risultati locali, quando si è visto che la maggioranza delle schede era per Joe Biden — racconta oggi — e sono certo che, se Trump perderà, succederà tutto di nuovo, nonostante tutto il mio lavoro».
Il lavoro principale di Richer dopo le presidenziali di quattro anni fa è stato far ricontare e esaminare ogni singolo voto. «L’elezione 2020 a Maricopa è la più analizzata della storia, e non abbiamo riscontrato nessuna anomalia, nessuna frode», assicura. Eppure dopo le presidenziali 2020 e ancora dopo le politiche di medio termine del 2022, due membri della commissione elettorale locale, repubblicani, hanno rifiutato di certificare il risultato, citando preoccupazioni sul voto radicate in false teorie. Alla fine, in entrambi i casi, uno dei due ha ceduto dopo l’intervento di un giudice, ma lo aveva già fatto passare la scadenza per la certificazione, innescando una battaglia legale e persino procedimenti penali. Ora Richer e altri funzionari elettorali come lui in Arizona e negli altri sei Stati chiave, temono un bis, con l’aggiunta di disordini a causa delle migliaia di “osservatori” che potrebbero intimidire gli elettori o gli scrutatori.
Di solito, infatti, entrambi i partiti politici nominano persone che si rechino ai seggi per porre domande agli scrutatori in caso di dubbi. La maggior parte degli Stati definisce per legge i diritti degli osservatori e quanti possono essere presenti, ma non in modo preciso. Le leggi che vietano espressamente le armi da fuoco nei seggi, inoltre, sono poco comuni, presenti solo in 17 Stati su 50. Ancora meno chiare le regole per l’accesso ai centri di tabulazione, i posti centrali — di solito uno per contea — dove le schede sono trasferite alla chiusura delle urne per essere conteggiate.
E se anche tutto dovessero svolgersi con calma ai seggi e ai centri di tabulazione, rimane il rischio di tensioni quando le commissioni elettorali delle contee di riuniscono per certificare i risultati. Per legge, è un obbligo, non una scelta, ma negli ultimi anni alcuni Stati a maggioranza repubblicana hanno aumentato il potere delle commissioni di chiedere nuovi conteggi se hanno dubbi di irregolarità.
In Arizona, almeno tre contee, Maricopa, Cochise e Mohave, sono formate in maggioranza da funzionari convinti che nel 2020 i democratici abbiano rubato la Casa Bianca. Ce n’è abbastanza per giustificare la paura di disordini di Richer, che è condivisa da molti altri funzionari, compresi i governatori degli Starti di Washington, Oregon e Nevada. Questi hanno allertato la Guardia Nazionale contro potenziali rivolte.