lunedì 26 settembre 2016
Aleppo, la trappola dei quartieri dell'Est
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Il dramma di Aleppo non assomiglia a nessuno degli altri orrori vissuti da città che hanno sperimentato la divisione nel corso della loro storia o la sperimentano ancora: Berlino, Belfast, Beirut, Gerusalemme. Bene o male, nelle città menzionate, la “politica” aveva creato delle società parallele che con il tempo hanno imparato a ignorarsi (e prima a odiarsi) reciprocamente: liberali contro comunisti o presunti tali, cattolici contro protestanti, cristiani contro musulmani, arabi contro ebrei e così via. La divisione di Aleppo somiglia piuttosto all’amputazione innaturale di un medesimo corpo. E forse per questo fa più male. È vero, la metropoli presenta un gran numero di comunità religiose (le varie denominazioni cattoliche e ortodosse) ed etniche (curdi, armeni, turkmeni, circassi, assiro-caldei e fino a un paio di decenni fa, anche ebrei) per cui è facile incontrare una concentrazione di cristiani in alcuni quartieri (Aziziyah, Suleimaniyah, Sabil e Midan) oppure di curdi in altri (come in quello di Sheikh Maqsud, a nord), ma Aleppo rimane sunnita all’80 per cento. La presenza alauita assai importante in altri centri urbani siriani è qui veramente ridotta. Infatti, le famiglie alauite agiate che ad Aleppo si erano ricostruite una nuova vita dopo l’annessione, nel 1939 del sangiaccato di Alessandretta alla Turchia, hanno dovuto lasciare la città negli anni Ottanta, vittime come tanti altri siriani dei soprusi dei Fratelli musulmani insorti contro Assad padre. La mappa odierna di Aleppo mostra una città divisa in due settori che si insinuano come una tenaglia, l’uno dentro l’altro. La parte occidentale della metropoli, quella sotto il governo di Damasco, comprende i quartieri di al-Hamdaniya, al-Ashrafiyah, al-Jamiliya, nonché la zona dell’Università, mentre quella a Est, sotto il controllo dell’opposizione, comprende i quartieri di Maysar, Saif al-Dawla, al-Marjeh, al-Shaar, al-Salihin e al-Sukkari. Molti di questi nomi evocano pezzi importanti di una storia millenaria. Ironia della sorte: i bollettini militari dei due campi rivali che spesso citano i bombardamenti contro il quartiere residenziale di Hanano (sotto i ribelli) e i missili caduti in Piazza Jabiri (sotto i lealisti) si dimenticano che Ibrahim Hanano e Saadallah al-Jabiri avevano lottato insieme negli anni Venti del secolo scorso proprio contro il progetto (allora francese) di smembramento della Siria in diversi staterelli confessionali. Oggi Aleppo non appartiene agli aleppini. È un ring in cui si contendono gli eserciti e i progetti più disparati. E chi ha potuto scappare per non dover assistere al match di distruzione sistematica lo ha fatto da tempo. Nella parte occidentale, in cui vivono ancora un milione e mezzo di civili, sono giunti pochi giorni fa 3.000 soldati russi per dare man forte all’esercito di Assad, già assistito da centinaia di miliziani hezbollah libanesi, pasdaran iraniani e altri volontari sciiti iracheni e afghani. Nei quartieri orientali, dove lottano contro la fame 250mila civili, dettano legge decine di sigle raccolte in due coalizioni militari che contano insieme circa 10mila combattenti. La prima è denominata Fath Halab (Conquista di Aleppo) che raccoglie 31 gruppi “moderati” tra cui spiccano il movimento Nureddin Zanki e la Divisione 13, entrambi membri dell’Esercito libero siriano. La seconda coalizione è denominata Jaish al-Fath (l’Esercito della conquista) e riunisce il Movimento Ahrar al-Sham, ma anche il Fronte Fath al-Sham, l’ex Fronte Nusra, che conta 2.500 uomini.
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