È finalmente stato pubblicato il decreto interministeriale (27 ottobre 2023 n.151) con il quale il Ministero per il Made in Italy (Mimit), il Ministero di Giustizia e il Ministero dell’Economia hanno completato l’iter previsto dalla Riforma Cartabia per arrivare a definire la figura del mediatore familiare professionista ed il ruolo della mediazione familiare nel nuovo processo di famiglia. Dopo più di 25 anni dalla sua introduzione in Italia oggi sappiamo come la mediazione familiare rappresenti uno strumento utilissimo nella gestione dei conflitti familiari legati alla separazione e al divorzio e la sua efficacia è indubbiamente tanto maggiore quanto più precoce è l’intervento.
Dal 15 novembre 2023, giorno di entrata in vigore del decreto, possiamo dire che seppure con molti aspetti di perfettibilità il complesso panorama della Riforma ha riconosciuto il grande lavoro fatto in questi anni dalle associazioni (nel 2017 è stata costituita la Federazione italiana associazioni di mediatori familiari, F.I.A.Me.F) e dai tanti professionisti sul campo. Tutto parte dalla legge 26/11/ 2021, n. 206 che conferisce il primo vero riconoscimento legislativo al mediatore familiare e ha reso possibile una lunga serie di azioni finalizzate all’acquisizione di uno status professionale per i mediatori familiari.
Le associazioni professionali, oltre a vigilare sulle regole di comportamento degli associati - in particolare sul rispetto del codice deontologico - e sulla formazione di base e permanente, assumono un ruolo attivo ed altamente significativo nel processo di professionalizzazione. L’appartenenza alle associazioni è su base volontaria e non costituisce un requisito essenziale per essere mediatore familiare, ma è evidente che far parte di un’associazione riconosciuta dal Mimit rappresenta un insieme di vantaggi sia per il singolo professionista, sia per il cittadino cliente/utente del servizio. La logica del sistema - in altre parole - è che le associazioni si facciano garanti della professionalità del mediatore familiare. Per questo è molto importante che i cittadini, genitori e non, che si rivolgono al mediatore familiare nel corso di una spesso dolorosa vicenda separativa, possano essere informati molto bene sulle qualifiche professionali di chi li incontra. Opportunatamente il decreto del 27 ottobre 2023 ha previsto un obbligo di informativa da parte del mediatore familiare che incontra la coppia all’inizio della mediazione - che verte, tra i molti aspetti, anche sulla propria qualifica e appartenenza associativa. Si deve lavorare dunque nella trasparenza su informazioni, regole, aspetti deontologici, basandoci sul presupposto che occorre conoscere per scegliere come recita un ormai celebre slogan coniato da Costanza Marzotto, pioniera della mediazione familiare nel nostro Paese e coordinatrice del Master in mediazione familiare dell’Università Cattolica. (vedi box)
La mediazione familiare prevede cinque regole/condizioni in mancanza delle quali non può definirsi tale: autodeterminazione, volontarietà, riservatezza, terzietà, autonomia dall’ambito giudiziario. Occorre in altre parole che le coppie che si rivolgono al mediatore familiare lo possano fare sulla base di una scelta personale, che il loro percorso di presa di accordi e di dialogo avvenga nella riservatezza più assoluta da parte del mediatore che non è un consulente del giudice, che si lavori in un contesto “terzo” rispetto a quello delle aule dei Tribunali, ma anche degli studi degli avvocati, i quali spesso sono proprio coloro che inviano in mediazione, sostenendo il lavoro dei loro assistiti fino al deposito degli accordi di separazione e/o divorzio. L’obiettivo è certamente il mantenimento del benessere dei figli, che spesso anche senza volerlo sono messi al centro dei litigi dei genitori, ma c’è un traguardo anche più elevato: poter rigenerare i legami a fronte dello tsunami causato nelle famiglie dal divorzio, come Vittorio Cigoli, padre del modello relazionale-simbolico di mediazione, ci ha insegnato (2017). Questo lavoro di prevenzione che, se attuato dai genitori a fronte dell’evento separativo, permette davvero l’esercizio della comune responsabilità genitoriale, è ciò che ha più a cuore il mediatore familiare per la sua ricaduta sul benessere dei figli e dunque delle generazioni future. È importante ribadire che l’elevata conflittualità tra i genitori non costituisce elemento ostativo alla mediazione familiare. L’intervento di un esperto terzo e qualificato può favorire la gestione di una fase conflittuale anche acuta, supportando le persone verso una maggior consapevolezza del loro ruolo genitoriale e della necessità di destinare ogni loro energia alla cura dei figli. Sicuramente invece sono ostativi i comportamenti genitoriali che non tutelano i figli, quando ad esempio vi è compromissione della responsabilità genitoriale. Per queste situazioni, purtroppo frequenti, esistono diversi strumenti di intervento e compito del mediatore è anche saper individuare ed in parte costruire le cosiddette “condizioni di mediabilità” cioè le condizioni nelle quali è possibile intraprendere e proseguire un percorso di mediazione.
La Riforma, in conformità alla convenzione di Istanbul, ratificata dall’Italia nel 2013, ha opportunamente preso in considerazione il delicato tema della violenza, così drammaticamente attuale, ponendo molta attenzione alla fase iniziale della mediazione nella quale il mediatore mette in campo la sua formazione e le sue competenze per riconoscer possibili segni di violenza che non rendono attuabile la mediazione. Sono cause di impedimento all’attivazione/prosecuzione di un percorso di mediazione familiare: la pronuncia di sentenza di condanna o di applicazione della pena, anche in primo grado, ovvero la pendenza di un procedimento penale in una fase successiva ai termini di cui all’articolo 415-bis del Codice di Procedura Penale per le condotte di cui all’articolo 473-bis.40 (abusi familiari o condotte di violenza domestica o di genere), nonché quando tali condotte sono allegate o comunque emergono in corso di causa. Inoltre il mediatore familiare ha l’obbligo di interrompere immediatamente il percorso di mediazione familiare intrapreso, se nel corso di esso emerge notizia di abusi o violenze. Fuori da queste rigorose cause di esclusione, il mediatore familiare è proprio la figura che accompagna, affianca le persone, come in un viaggio, utilizzando un processo predefinito, alla ricerca di accordi per attuare una separazione consapevole e che mette al centro i figli, valorizzando la competenza e la differenza che ognuno porta in sé malgrado il dolore ed il conflitto che sta attraversando.
Tornando alla Riforma c’è un riscontro chiaro del valore attribuito alla mediazione familiare nella nuova formulazione dell’art. 337 ter del Codice civile che prevede espressamente che il Giudice «prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori, in particolare qualora raggiunti all’esito di un percorso di mediazione». Come si legge nella relazione illustrativa, infatti, «non sembra ragionevole che un accordo formato dopo un percorso di mediazione sia tenuto nel medesimo conto di uno che non sia frutto di tale percorso». Se il percorso di mediazione non si è attivato prima, come sarebbe auspicabile, anche in corso di causa il nuovo rito prevede che il giudice informi le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare.
Proprio perché la mediazione familiare è un percorso volontario che può essere proposto e sostenuto dai magistrati, in questi anni si sono andate costruendo buone prassi di collaborazione tra il mondo della giustizia e quello della mediazione quali ad esempio lo Spazio informativo sulla mediazione familiare attivo dal 2018 presso il Tribunale di Milano dove è possibile incontrare mediatori familiari professionisti ogni martedì mattina per un primo momento di orientamento e di informazione. Molto concretamente la riforma prevede che «Il giudice può, in ogni momento, informare le parti della possibilità di avvalersi della mediazione familiare e invitarle a rivolgersi a un mediatore, da loro scelto tra le persone iscritte nell'elenco formato a norma delle disposizioni di attuazione del presente codice, per ricevere informazioni circa le finalità, i contenuti e le modalità del percorso e per valutare se intraprenderlo». (Art. 473-bis.10 c.p.c.). Pur rispettando la libera scelta di intraprendere o meno un percorso di mediazione familiare, il legislatore ha voluto facilitare una scelta consapevole prevedendo che presso ogni Tribunale sia istituito un elenco di mediatori qualificati ai quali le persone potranno rivolgersi per conoscere le caratteristiche di un percorso e decidere consapevolmente se intraprenderlo. Qui, un po' chiudendo il cerchio rispetto alla scelta fatta con la L. 4/1/2013, si prevede che a potersi iscrivere nell’elenco istituzionale siano mediatori familiari in possesso di requisiti qualificanti tra i quali l’appartenenza ad un’associazione riconosciuta dal Mimit da almeno 5 anni.
In ultimo, è importante sottolineare l’importanza della formazione iniziale e continua del mediatore familiare. Da oggi la professione del mediatore familiare è riservata in maniera esclusiva a coloro che rientrano nello standard stabilito. È ancora più vero, in altre parole, che per intraprendere questa professione occorre scegliere da subito un percorso formativo di qualità e di durata nel tempo.
Mediatrice familiare didatta S.I.Me.F., docente e tutor al Master in mediazione familiare dell'Università Cattolica