Antonio: "Così 10 anni fa sono stato aiutato dalla Fondazione Peter Pan"
Ogni anno in Italia 1.400 bambini si ammalano di cancro, in media più di 3 al giorno, secondo i dati dell’Associazione Italiana Oncologica Medica. Ma il conforto viene dalle percentuali di guarigione, che sono arrivate all’80%, mentre erano al 30% negli anni Sessanta. Segnali di speranza incoraggianti, grazie ai progressi nella ricerca, anche se la strada da percorrere nel campo dell’oncologia pediatrica è ancora lunga e impegnativa, a cominciare dal rafforzamento della cosiddetta alleanza terapeutica.
Lo ha sottolineato di recente a Roma l’oncologo Renato Fanelli in occasione della celebrazione dei 30 anni di Peter Pan ODV, organizzazione che supporta e accoglie le famiglie che portano i propri figli, bambini e adolescenti, a curarsi negli ospedali della capitale. «Mentre la ricerca progredisce e trova terapie sempre più efficaci, a partire da immunoterapia e terapie geniche che permettono approcci più mirati e minori effetti collaterali, è importante occuparsi anche dell’ascolto e del supporto psicologico ed emotivo per i bambini e le famiglie».
È questa la missione che impegna la onlus dalla sua nascita: dare ospitalità e sostenere gratuitamente i piccoli malati di cancro e i loro famigliari. Sono oltre 900 le famiglie accolte dall’associazione dal 2000, anno di apertura della prima struttura, 388 mila le giornate dedicate all’accoglienza, di cui 59 mila rivolte direttamente a bambini e ragazzi. A contare su questi alloggi non sono solo giovanissimi italiani. L’80% delle famiglie ospitate in questi anni è arrivata da 18 regioni del nostro Paese, in prevalenza Calabria, Campania e Puglia, ma il 20% proviene da 38 Paesi in tutto il mondo.
Poi, dietro i numeri, ci sono le storie di sofferenze e fatica dei tanti ragazzi e bimbi che hanno trovato supporto e rifugio grazie a responsabili, operatori e, non da ultimo, ai 1380 volontari che in questi 30 anni hanno dato vita a Peter Pan. Una luce che si accende in mezzo al buio, come quella che conosce bene Antonio, 25 anni, lui che nel tunnel della malattia è stato inghiottito quando ne aveva 15.
«Giocavo a pallone con gli amici in mezzo alla strada, libero e spensierato. Un giorno, all’improvviso, ho cominciato ad avvertire un fastidio atroce alla schiena. I giorni passavano e quel dolore non mi abbandonava, anzi, si infittiva. Così, accompagnato dalla mamma, Agata, e da mia sorella Sara, che è infermiera, ho cominciato a sottopormi a numerosi accertamenti, che hanno presto rivelato la diagnosi di tumore all’intestino».
Antonio spiega che fin da subito si è posta la necessità, per lui e la sua famiglia, di spostarsi da Manduria, il loro paese, per affrontare l’intervento e le cure. «Avevo la possibilità di essere seguito a Bari o a Roma, sono stato io stesso a chiedere di poter essere ricoverato all’Ospedale Bambin Gesù, nella capitale». La situazione si rivela subito delicata, si procede con urgenza all’operazione, dopo la quale seguono alcune complicazioni: Antonio deve affrontare un peggioramento legato all’anestesia e poi rimanere per alcuni giorni in terapia intensiva. «È stato un momento drammatico per tutti - oltre all’angoscia per le mie condizioni, i miei vivevano in grande difficoltà, senza nemmeno un posto fisso per dormire, costretti in un primo tempo a passare le notti in macchina e poi ad alloggiare in un bed and breakfast, sostenendo un grande peso economico. E oltre alle fatiche del presente si aggiungeva il disorientamento per il futuro. I medici, infatti, hanno prospettato un anno di cure da seguire in ospedale, perciò si è posta subito la necessità di trovare un appoggio abitativo vicino al Bambin Gesù. Una situazione imprevista e complessa, che non sapevamo come gestire».
È un infermiere dell’ospedale a indirizzare Antonio e la sua famiglia verso l’organizzazione Peter Pan. «È stato il primo anello di una catena di persone meravigliose che si sono prese cura di me e della mamma, rimasta a Roma durante il mio lungo periodo di terapie». Antonio ricorda con emozione il sollievo provato in quel momento di paura e smarrimento. «Entrando nella casa che ci ha accolto ho visto un mondo nuovo, finalmente a colori. Ero circondato da bambini e ragazzi di etnie e luoghi diversi, tutti impegnati ad affrontare malattie e cure con coraggio e speranza».
Antonio inizia così questa fase di vita tanto fragile quanto preziosa. «Eravamo in otto famiglie», racconta. «A parte le camere e il bagno, tutti gli altri spazi erano comuni. Mangiavamo tutti insieme, attorno a un tavolo enorme, dove consumavamo ogni giorno pasti diversi, cucinati da mamme di Paesi differenti. In quel momento io ero un adolescente arrabbiato, ce l’avevo con tutti, non volevo uscire dalla mia camera né parlare con nessuno», confida. «Ma loro, i medici, l’intero personale e i volontari, mi sono stati vicino, spronandomi fin dall’inizio, senza invadenza, a uscire dalla solitudine e mescolarmi ai miei coetanei. È stata questa la cura più preziosa», assicura.
Oggi Antonio è sereno, lavora in un’azienda che produce gruppi elettrogeni e da 4 anni è fidanzato con Veronica, con la quale convive.
Ma non dimentica quei lunghi mesi trascorsi nella grande casa di Peter Pan. «Avrò per sempre nel cuore quegli angeli che mi hanno accolto, le loro parole, le voci e soprattutto il loro esempio: quello di regalare amore al prossimo attraverso le azioni quotidiane. Un modello che cerco di seguire anch’io ogni giorno. Per restituire, almeno un po', il grande bene che ho ricevuto».