venerdì 20 settembre 2024
Elisa Borsò e Marco Vespi di Pontedera hanno trascorso tre settimane a Mlali per dare una mano ai bambini disabili. «E per la prima volta abbiamo lasciato ai nonni i nostri tre figli»
Elisa Borsò e Marco Vespi nella missione di Mlali

Elisa Borsò e Marco Vespi nella missione di Mlali

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Poco più di settemila km separano, in linea d’aria, lo scalo aeroportuale di Pisa da quello di Dar Es Saalam , in Tanzania. Proiettando il visitatore in un contesto decisamente nuovo: sì, perché se poche ore fa hai lasciato panorami mozzafiato fatti da dolci colline coltivate a cereali, vite e ulivo, ora ti trovi, d’un colpo, nella Savana. Se hai percorso km e km di autostrade e strade statali costruite in asfalto e calcestruzzo, ora sotto i tuoi piedi trovi solo terra rossa. Se hai da poco chiuso il portone del tuo condominio a sette piani ora, di fronte a te, vedi solo baracche minuscole. Se hai frequentato negozi di abbigliamento in cerca dell’ultima griffe, ora sei attirato da bancarelle con maglie e vestiti coloratissimi appesi ai rami degli alberi.

È l’esperienza che hanno vissuto – questa estate per tre settimane – alcuni volontari toscani, che hanno aderito alla proposta dei frati minori cappuccini della Toscana di visitare e prestar servizio in una missione fondata negli anni Ottanta dello scorso secolo a Mlali. Qui, nella regione di Dodoma, in una posizione quanto mai felice per salubrità dell’aria, disponibilità d’acqua e conformazione del territorio, sorge un Centro per bambini disabili conosciuto in tutto il Paese e anche nei paesi confinanti. «Il centro – raccontano i volontari – è una vera perla incastonata negli altipiani centrali della Tanzania. Ma ancor più lo è per la missione che vi si compie: quella di curare e rendere il più possibile autonomi i bambini con malattie ortopediche degli arti inferiori e negli ultimi anni anche malattie cerebrali. Una parte dei bambini ospitati sono minori non accompagnati, che per questo motivo vivono nei dormitori sotto la sorveglianza delle suore, delle nutrici (dade) e delle fisioterapiste; altri bambini sono accompagnati dalla propria madre e vivono all'interno della missione in ostelli costruiti apposta per loro».

Caterina e Gabriele Spadoni, sono fratelli livornesi. Elena Acampa ed Anna Saletti due studentesse senesi. Francesco Genovese è un insegnante di religione pratese, Elisa e Agata de Gobbi, mamma e figlia, vengono da Prato, Sofia Mellini da Pratovecchio (Arezzo), Miriam Chiaroni da Firenze. Tutti accompagnati da fra’ Fabio Novoli , il capodelegazione, che qui è un po’ di casa.

Della comitiva toscana facevano parte anche Elisa Borsò e Marco Vespi da Pontedera, entrambi terziari francescani. Lei, medico nucleare, è ministra dell’Ordine francescano secolare di Pontedera. Lui, una laurea in Pedagogia, è segretario di Curia in diocesi di Pisa. Genitori di Marta, Stefano e Margherita , festeggeranno i loro primi 25 anni di matrimonio il prossimo 2 ottobre. E per una volta, dopo tanti anni, si sono «regalati» una uscita di coppia, salutando i genitori anziani e i figli.

Racconta Elisa: «Il viaggio in Tanzania è stato per me il coronamento di un sogno. Ho sete di conoscere l’Africa da sempre. Oggi di più perché l’Africa è in parte anche a casa nostra e perché il futuro è la convivenza sempre più stretta e sempre più alla pari. Ma l’ispirazione di questo viaggio ha avuto molte radici, la principale senz’altro legata al venticinquesimo anniversario di matrimonio con Marco. Non riuscivo a immaginare un’altra meta per cui valesse la pena di fare le valigie e allontanarsi tanto da casa con lui, avere a che fare con la barriera linguistica, mettere da parte le certezze dei programmi, scoprire altre realtà. Tra l’altro trent’anni fa, quando ci siamo conosciuti, Marco – giovane gifrino- era iscritto al viaggio in Tanzania con padre Silvano Chiatti e altri, ma alla fine non si sentì di partire e di lasciarmi sola per un mese. Ho pensato che fosse giunto finalmente il tempo di quel progetto, che avessimo bisogno di un’esperienza nuova come coppia e che la dimensione della fraternità ci avrebbe dato quella base sicura da cui potevamo muovere nuovi passi. Così è stato. Ma non senza esitazioni iniziali e paure che ci hanno accompagnato fino alla partenza, legate al fatto di lasciare per tanti giorni i nostri cari».

La missione? Apparentemente semplice: stare accanto ai bambini disabili che abitano nel centro senza un genitore, di condividere con loro le attività della giornata: gli esercizi di riabilitazione delle gambe con i tutori e i deambulatori, l’igiene, i pasti, i giochi. «Il primo incontro con loro, nonostante la preparazione – raccontano i Vespi - è stato uno shock per la vista, l'odorato, la mente e il cuore. I bambini sono uguali a tutti quelli del mondo, solo che questi sono nati sfortunati e ci siamo subito resi conto che potevamo aiutarli solo molto, molto parzialmente, anche a causa della lingua. Quindi il primo sentimento è stato senz’altro quello dell’impotenza. Ma è durato poco. I loro sorrisi ci hanno presto fatto capire che non stavano aspettando di essere salvati, ma solo di essere amati… e che non dubitavano che l’avremmo fatto. Così nel corso dei giorni abbiamo imparato a conoscerli, a comunicare imparando un po’ la loro lingua (swahili), ad apprezzare con loro le piccole gioie di ogni giorno: la musica, le canzoni, il contatto fisico, o ancora più semplicemente il fatto di esserci».

Preziose le parole di fra’ Fabio: «Ci ha parlato della gratuità di Dio, che non ci fa "pagare le tasse" in cambio del suo amore, e l'ha paragonata all'amore gratuito di questi bambini, che in effetti da noi non pretendevano niente, pensando solo a sorridere quando ricevevano una qualsiasi attenzione. E noi ci trovavamo a pensare: come reagiremo quando ci troveremo di nuovo nel contesto competitivo della società? Nelle dinamiche dei nostri rapporti dove non siamo mai soddisfatti di niente? Gradualmente siamo riusciti a comunicare anche con le tante persone che vivono o lavorano nella missione: i frati e le suore, le dade , le fisoterapiste, le mamme che si sono trasferite qui con i loro bambini malati, i lavoratori nelle terre e negli allevamenti. Padre Gaudenz è un padre straordinario per questa comunità, che guida come un gregge con benevolenza e senso pratico, senza mai dimenticare che tutto è per Dio perché viene da Dio».

Il gruppo missionario è stato un aspetto essenziale di questa bellissima esperienza. «Un gruppo eterogeneo per età (dai 15 ai 52 anni), provenienza e modalità con cui si è avvicinato a questa proposta. La confidenza e l'affiatamento sono cresciuti rapidamente, la collaborazione e la sinergia delle singole capacità è stato il punto cruciale del nostro servizio con i bambini: nessuno di noi faceva niente di straordinario, niente di indispensabile, eppure tutti i piccoli gesti di quelle ore messe insieme facevano sì che i bambini avessero sorriso, giocato, cantato, fossero stati coccolati, nutriti, cambiati, allenati. E poi non sono mancati grandi momenti di allegria tra noi, le feste di compleanno e lunghe serate a cantare sotto il cielo stellato africano».

L’ultimo giorno a Mlali – raccontano i nostri - «eravamo tutti sull'orlo della crisi di commozione. Fabio ha iniziato a prepararci al distacco dai bambini e alla fase di rientro nelle nostre vite quotidiane, a partire dal vangelo del giorno, la storia del giovane ricco. Come a lui Gesù ci chiede di dare tutto, di spalancare le braccia come ha fatto Lui sulla croce e, guarda un po', come facevano i bambini ogni giorno con noi, senza se, senza ma, senza tornaconti, dando ogni giorno il meglio di loro stessi ovvero tutto se stessi. Inoltre sta a ciascuno di noi far portare altri frutti a questa esperienza che non dobbiamo chiudere ermeticamente nel nostro cuore. Frutti che possono tradursi in racconti, testimonianze, progetti, raccolte di fondi, adozioni a distanza, borse di studio».

Il viaggio in Tanzania è stato scandito anche da alcuni spostamenti «che ci hanno permesso di incontrare tantissime persone e conoscere altre realtà missionarie: la missione di Kongwa, il villaggio Masai di Chitego, la parrocchia di Mkoka, il parco naturale di Mikumi, l’orfanotrofio di Dar es Salam e la parrocchia di Unuguni nella periferia di Dar es Salam. Ovunque siamo rimasti colpiti dall’accoglienza calorosa dei religiosi e di tutti, adulti e bambini, che ci hanno ripetuto con grandi sorrisi karibu sana, molto benvenuto. Ovunque ci hanno riservato un banchetto di benvenuto preparato con cura anche ad orari impensabili. I loro sinceri ringraziamenti per esserci fermati da loro, per essere arrivati fino a lì, rovesciando la nostra logica per cui ci avevano fatto un piacere loro a darci ospitalità, ci ha fatto molto riflettere su quanto spesso svalutiamo gli incontri con parenti e amici, su quanta più importanza diamo a quello che ci costava piuttosto che a quello che ci dava. Con loro, come a Mlali, abbiamo condiviso incontri festosi, dove non sono mancati canti e balli quasi tribali che ci hanno affascinato. Qui le regole sociali sembrano più basilari, non molto complesse. Ma la verità è che semplificano la vita: ci si incontra con piacere, si condivide il tempo e le cose da fare come un dono di Dio, si fa festa ogni volta che si può».

A Kongwa i volontari toscani hanno visitato le scuole primarie e secondarie tenute dai frati e dalle suore. «Nonostante l’inglese scarso dei più, siamo riusciti a fare una vera e propria conversazione, improvvisata e spontanea, con i bambini. Abbiamo parlato anche del futuro, di quello che vogliono fare da grandi, e non sono mancate richieste di aiuto economico». A Unuguni «abbiamo passato un pomeriggio con centinaia di bambini che si sono riversati nel giardino della parrocchia dopo la scuola. Ancora gentilezza, piacere di conoscersi, di stare insieme, di dialogare come si riesce. Ancora positività che passa sopra tutto il resto, affidamento a Dio, concretezza e slancio verso un futuro migliore. Congedarsi da tutte queste persone ci ha profondamente commosso».

Un bilancio di questa esperienza?

«Abbiamo fatto un viaggio in Africa e dentro noi stessi, abbiamo costruito qualcosa in noi che resterà e darà frutti. Ci siamo lasciati sorprendere dalla ricchezza dei bambini del Kituo, ci siamo lasciati interrogare dalla malattia, dalla povertà di mezzi, dall'aridità della savana. Abbiamo trovato una realtà complessa e affascinante, che soprattutto ha parlato al nostro cuore con il linguaggio dell'amore, del sorriso, del benvenuto. Questo linguaggio è il tesoro che portiamo via da questa terra meravigliosa. Benvenuta Africa nella nostra vita! Dio benedica tutte le persone che abbiamo avuto il dono di conoscere».

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