martedì 22 ottobre 2024
Da quando aveva otto mesi un bambino di tre anni vive con una coppia affidataria definita esemplare dai servizi sociali e dalle insegnanti del "nido". Ma ora il Tribunale cambia idea. Cosa succederà?
«Mi chiamo Cacao e i giudici vogliono portarmi via mamma e papà»

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Cacao, lo chiameremo così, è un bambino di pochi mesi. La sua storia è tristemente esemplare per raccontare il dissesto del nostro sistema giudiziario minorile. Vediamo perché. Fin dalla nascita il piccolo vive in un istituto con la madre. Il padre non c’è. La donna ha problemi di salute irreversibili, non riesce a seguirlo, ha necessità di assistenza continua. Gli operatori fanno il possibile, trascorrono molto tempo con il piccolo, sostituendosi alla madre. Troppo tempo. E il bambino inevitabilmente si attacca a loro, rischiando di confondere le figure di riferimento. A dimostrazione che il dato biologico, che dovrebbe essere fondamentale, può finire in secondo piano se un genitore – anche una mamma – non riesce ad esserlo nella quotidianità, nell’attenzione, nell’accudimento costante, nella presenza minuto dopo minuto. Gli operatori, che sanno fare il loro mestiere – siamo nelle Marche – capiscono che l’equilibrio relazionale di Cacao può essere messo in pericolo. Parte la segnalazione al Tribunale. Occorre trovare al più presto una coppia che possa accogliere il piccolo in famiglia, una coppia che possa offrirgli la possibilità di avere quei genitori che, nella concretezza domestica, nella presenza affettiva, nella responsabilità educativa, non ha mai avuto.

Lara e Alessandro vivono anche loro in una città marchigiana. Hanno fatto domanda di adozione nel 2018. Sono ancora in attesa che qualcosa si muova quando, a settembre del 2022, vengono convocati dal Tribunale per i minorenni di Ancona. Sono giovani, entrambi laureati, entrambi con un’occupazione sicura, non hanno ancora figli biologici e sono disponibili ad aprire le porte di casa. In breve, diventano quella mamma e quel papà tanto attesi. Loro sono felici, Cacao rifiorisce. Le assistenti sociali e le insegnanti del “nido” si dicono convinte che siano una coppia che funziona benissimo.

Tutto risolto? Purtroppo no, in Italia l’affido – come l’adozione – è ancora regolato da una legge che ha oltre 40 anni e che nel tempo è diventata piena di buchi. E quello di Cacao rientra in quei casi definiti “affido a rischio giuridico”. Tanto a rischio che, se nessuno interverrà, il piccolo dal prossimo 14 novembre potrebbe essere prelevato da quelli che in questi due anni ha imparato a riconoscere come mamma e papà per essere riconsegnato alla madre biologica che di fatto non ha mai conosciuta come tale e che – come comprovato dagli operatori dell’istituto dove ha trascorso i primi mesi di vita e confermato dal tribunale – si sarebbe dimostrata inadeguata a svolgere i suoi compiti educativi.

Ma la famiglia d’origine non si è mai rassegnata alla decisione dei giudici che hanno deciso di mandare Cacao in affido e ha presentato subito ricorso. A non voler recedere non sarebbe tanto la madre, quanto i nonni. Rivogliono quel bambino nei cui confronti, probabilmente, avvertono il bisogno di ricompensare, per quanto possibile, quello che la figlia non è riuscita a dare. E così l’iter giuridico si mette in moto. Nel settembre dello scorso anno arriva la sentenza di primo grado. Il giudice minorile riconosce i compiti genitoriali svolti in modo egregio da Lara e Alessandro, conferma la decisione dell’affido sine die e, per quanto lo riguarda, chiude la vicenda.

Ma i nonni dicono ancora no e parte il ricorso in appello. Da notare che nel frattempo i rapporti del piccolo con la famiglia d’origine non si sono interrotti. I genitori affidatari, per tutto questo periodo, hanno rispettato le indicazioni del Tribunale che aveva previsto un incontro settimanale con la madre biologica. «Abbiamo fatto di tutto per cercare qualche modalità di collaborazione – raccontano i genitori affidatari – ma i nonni di Cacao ci hanno sempre voltato le spalle. Si sono opposti fin dall’inizio alla decisione del Tribunale e hanno rifiutato qualsiasi contatto con noi». Gli incontri tra il piccolo e la famiglia d’origine sarebbero però sempre risultati problematici. Quando torna a casa - riferiscono Lara e Alessandro - appare disorientato e confuso. Le insegnanti dell’asilo confermano il disagio di Cacao successivo ad ogni incontro.

In ogni caso si arriva alla sentenza di appello. Maggio 2024. La legge 184 del 1983 – sempre quella – impone che i genitori affidatari, quelli che da due anni vivono con lui e che lo conoscono meglio di tutti, non abbiano alcun ruolo nel processo. A rappresentare il piccolo c’è un tutore, un avvocato nominato dal tribunale. Ma in questo caso non sembra operare come sarebbe necessario. Quanto vale il fatto che ci siano due decisioni precedenti che hanno dato indicazioni chiare per il futuro del bambino? Nulla, perché i giudici d’appello ribaltano tutto. Il “supremo interesse del minore” - come recitano tutti i trattati internazionali – può finire tra parentesi. Il parere sembrerebbe formulato su una presunta mancanza di collaborazione da parte dei genitori affidatari a cui loro, visto che la legge non prevede la possibilità di intervenire nel dibattimento, non hanno potuto replicare. Ma i dubbi sono tanti. Se la legge dice, come già sottolineato, che i genitori affidatari non abbiano alcun ruolo nel processo, impone però che prima della sentenza – articolo 5 - vengano convocati e informati della decisione in arrivo. Ma questo per Lara e Alessandro non succede. Una dimenticanza o una strategia?

Intanto il punto di non ritorno si avvicina sempre di più. La decisione dei giudici d’appello prevede che a partire dal prossimo 3 novembre Cacao trascorra cinque notti la settimana nella famiglia d’origine. Poi, dopo due settimane, arriverà per i genitori affidatari l’eclissi definitiva. E come si colloca in questa decisione la legge 173 del 2015 sulla continuità degli affetti? Evidentemente i giudici hanno considerato che per un bambino di tre anni aver trascorso gli ultimi due con gli stessi genitori non rappresenta una sufficiente continuità affettiva. E anche questa appare una decisione sorprendente. Di fronte all’ormai prossimo addio, mamma Lara e papà Alessandro si dicono comprensibilmente preoccupati per il futuro di Cacao e ne hanno fondati motivi vista la sofferenza vissuta dal piccolo in queste ultime settimane. «Avremmo voluto farlo visitare da un neuropsichiatra infantile ma la legge – sempre la stessa, ormai datata - ce lo impedisce senza il via libera del tutore». Che, pur sollecitato più volte, continua a tacere, ostacolando qualsiasi proposito di aiuto per il piccolo.

Insomma, intorno al caso del piccolo Cacao si affollano tante domande. Per esempio, non sarebbe stato possibile un ricorso in Cassazione? Sì, ma il tutore ha ritenuto – inspiegabilmente – che non ci fossero gli estremi per tentare l’ultima carta e, in ogni caso, i termini sono ormai trascorsi. E ora per cercare di risolvere una situazione che appare drammaticamente segnata sarà possibile appellarsi alla giustizia europea?

E ancora: come si può pensare che il bene di un bambino sia quello di essere allontanato dalle due figure genitoriali di riferimento scelte proprio perché il piccolo aveva bisogno di quella coppia genitoriale che non ha mai avuto?

E, d’altra parte, se i nonni mostrano un così forte attaccamento al nipote, come pensare di escluderli del tutto dalla sua vita, anche alla luce della sofferenza sopportata per via della patologia della figlia?

Ma queste due esigenze, entrambe legittime e comprensibili, pur con tutti i distinguo, sono apparse finora inconciliabili e né la giustizia minorile né i servizi sociali sembrano avere le risorse per avviare quell’opera di mediazione indispensabile per salvare un bambino dal tritacarne di un sistema giudiziario che appare ormai largamente inadeguato per tutelare la sorte delle persone più fragili e più indifese. Ecco perché la storia di Cacao è esemplare. Ecco perché occorre fare tutto il possibile per risolverla in extremis ma in modo saggio e rispettoso per tutti, con una decisione capace di assicurare al piccolo un futuro di serenità accanto a chi ha mostrato di saperlo accudire e di volergli bene.

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