mercoledì 5 giugno 2024
In Paesi come Stati Uniti e Danimarca si diffonde un giornalismo in grado di avere un impatto sociale, offrendo idee per correggere ciò che non funziona: «I media devono riacquistare credibilità»
Un giornalismo che propone soluzioni: «Così restituiamo speranza»
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Sul New York Times del 14 novembre 2016 uscì un articolo che affermava: « Per decenni, la costante attenzione del giornalismo ai problemi e alle patologie apparentemente incurabili ha preparato il terreno che ha permesso ai semi del malcontento e della disperazione di mettere radici». A firmarlo due pezzi da novanta come Tina Rosenberg, vincitrice nel del premio Pulitzer, e David Bornstein, che con lei ha firmato sul più prestigioso quotidiano del mondo (per 11 anni, fino al 2021), la serie di rubriche “Fixes”. Nel contesto dell’ultima edizione del Salone del libro di Torino, Tina Rosenberg, in collegamento da New York, ha riproposto la sua severa analisi, durante un incontro molto interessante, promosso dal Torino Impact Journalism: un’iniziativa volta a comprendere in che modo oggi l’informazione possa contribuire al cambio di paradigma economico, ambientale e sociale.

«Il pubblico è sfinito, le persone smettono di leggere i nostri articoli – il j’accuse di Rosenberg – perché la sensazione è che venga veicolata poca speranza: ci si vuole solo chiudere in camera e tirare giù la tapparella». Convinta che «il giornalismo dev’essere un po’ come un’ape che procede all’impollinazione», Rosenberg dal 2013 ha dato vita, con Bornstein e Courtney Martin, al Solution Journalism Network, grazie al quale, ad oggi, sono stati formati ad un approccio innovativo alle news oltre 25mila giornalisti nel mondo. «Come giornalisti siamo chiamati a dare un’idea vera della realtà, riflettendola così com’è, mentre oggi il problema è la negatività ». Non a caso, un motto del Solution Journalism Network consiste nel raccontare «the whole story» (ossia la storia tutta intera: i problemi, ma anche le possibili soluzioni). Insieme con lei, a Torino, hanno preso la parola diversi esponenti di questo nuovo modello informativo, fra i quali Zoe Mc Donagh, del Media Development Investment Fund, un ente che investe in progetti giornalistici innovativi, e Julie Phybus, giornalista del Pioneers Post, testata britannica che si occupa di imprenditoria a carattere sociale.

A fare gli onori di casa Raphael Zanotti, giornalista de La Stampa e curatore di Torino Impact Journalism: « Il giornalismo è intrinsecamente portato ad avere un impatto sociale perché diffonde cono-scenza, in modo tale che lettori e cittadini diventino consapevoli. Il che rende le democrazie più sane», ha esordito Zanotti, rilevando però come «oggi i media inseguono la stessa forma di giornalismo veloce, che punta a scalare il ranking di Google: un giornalismo dai titoli urlati ». Al contrario, il giornalismo delle soluzioni – oggi praticato soprattutto negli Usa e in Danimarca – si offre come una via per «rafforzare il valore intrinseco dell’informazione, grazie ad articoli che offrono uno spiraglio, una speranza». Sulla stessa lunghezza d’onda Mario Calabresi, ex direttore di La Stampa e la Repubblica e fondatore di Chora media, che ha criticato l’eccesso di cronaca nera sui siti dei quotidiani italiani: «L’opinione pubblica ha la percezione di vivere in un Paese pericolosissimo, mentre in Italia oggi si verifica la metà degli omicidi di 25 anni fa».

La sfida per gli operatori dell’informazione passa, per Calabresi, nel recupero della credibilità e della fiducia, con un surplus di qualità e un cambiamento radicale di approccio alle news: «Se il giornalismo vuole avere un futuro deve pensarsi come un ristorante dove vengono serviti piatti ben fatti e digeribili, non happy hour con patatine e noccioline». Funziona il “Solution Journalism”? Nel caso del Daily Maverick, testata giornalistica online e quotidiano cartaceo sudafricano, la risposta, ad oggi, è largamente positiva: partito nel 2009 da una start up di 5 persone, è arrivato a contare oltre 100 dipendenti a tempo pieno. Il co-fondatore Styli Charalambous, intervenuto a Torino, è stato insignito del più importante premio giornalistico sudafricano nel 2021. «Gli obiettivi del giornalismo – ha spiegato – sono due: proteggere la democrazia e aiutare le persone ad affrontare la quotidianità. Per questa ragione le inchieste, ma anche la proposta di soluzioni a ciò che non funziona, sono una parte importante del nostro lavoro». Una conferma che questo nuovo metodo piace ai lettori?

Il New York Times ha una sezione “Headway”, erede di “Fixes”, che tratta soluzioni giornalistiche su grandi questioni. Nel 2022 Michael Kimmelman ha scritto un pezzo su come Houston ha ridotto il numero dei senzatetto, un pezzo molto lungo e approfondito. Ebbene: è stato l’articolo più instagrammato nella storia del giornale. Il Torino Impact Journalism ha annunciato il decollo di un ciclo di 4 webinar gratuiti, per sensibilizzare gli operatori dei media. Si comincia il 17 giugno con “Fondamenti e principi del solution journalism”. Interverranno, oltre alla citata Rosenberg, Stefano Arduini, direttore di Vita, Peter Damgaard, direttore operativo del Constructive Institute, Alessia Gianoncelli, di Impact Europe e Jodie Jackson, autrice di “You Are What You Read”.

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