Le donne e la finanza sembrano due universi inconciliabili. Lo sono davvero? Guardando i dati, è innegabile che per quanto riguarda la partecipazione economica, il divario di genere è ancora molto lontano dall’essere azzerato. Nonostante i progressi fatti, la parità non esiste ancora in nessun campo, né in Italia né a livello mondiale. Il nostro Paese, in particolare, nell’ultimo Global gender gap report redatto dal World economic forum è risultato all’87esimo posto, su 146 Stati monitorati, per equità tra uomini e donne, una condizione che a livello globale verrà raggiunta solo tra 134 anni.
Anna Fasano, presidente di Banca Popolare Etica - Imagoeconomica
Alcune delle ragioni storiche che ancora oggi ostacolano la partecipazione economica delle donne sono state analizzate nel libro Il coraggio di contare, edito da il Saggiatore. L’autrice Natascha Lusenti, oltre a scattare una fotografia dell’attuale gender gap in cifre, traccia un dialogo immaginario tra le diverse donne intervistate, rendendo evidente non solo le differenze tra “madri” e “figlie” nel rapporto con i soldi, ma anche alcuni meccanismi che sono alla base di condizionamenti sociali e individuali spesso difficili da superare. Il libro è nato da un’intuizione di Anna Fasano, presidente di Banca Popolare Etica, che insieme alle donne del collettivo dell’istituto – come dice nella postfazione al testo – si era resa conto di come per affrontare un discorso generale fosse necessario prima «che ognuna riscoprisse la propria relazione con i soldi». Un confronto che parte dunque proprio tra coloro che si occupano tutti i giorni di finanza, per poter generare un cambiamento anche nelle vite di tutte le altre.
Il libro raccoglie testimonianze di donne il cui percorso si è intrecciato in qualche modo con la Banca Popolare Etica, che ha supportato dei loro progetti ed è particolarmente attenta verso le imprese femminili. Nel 2023, tra Italia e Spagna, ne ha sostenute 292, che rappresentano il 25,5% delle organizzazioni e imprese finanziate nell’anno dalla banca, per un totale di 38 milioni di euro di nuovi impieghi. L’anno precedente l’istituto ha lanciato anche il suo primo prestito obbligazionario allo scopo di raccogliere 15 milioni di euro da destinare al finanziamento delle aziende guidate da donne. Un’attenzione alla dimensione collettiva, dunque, che la stessa presidente Fasano, ancora nella postfazione, propone di vivere anche nel proprio rapporto con il denaro, in modo da acquisire spazi di libertà per tutte: «Leggendo mi sono trovata a pensare che, se non è capitato a me, è capitato a mia madre, a mia cugina, a mia sorella, a un’amica. Quindi ci si può immedesimare nelle storie che racconta per poi riuscire a svoltare, e capire che non siamo noi a voler abbracciare insieme la finanza ma è la finanza che ci tiene insieme tutte».
Nel libro vengono presentati vari esempi di come si può agire per la collettività proprio attraverso la finanza e la gestione delle risorse economiche. C’è chi fa consulenza finanziaria per provare a migliorare le competenze delle altre donne o chi parte dall’insegnare un mestiere a persone vulnerabili. Ci sono società di microfinanza o di gestione del risparmio che rendono possibili i progetti delle imprenditrici e associazioni che hanno creato percorsi per aiutare le donne ad avviare le proprie attività o portano avanti progetti di microcredito in modo da fare uscire le vittime di violenza dal controllo economico del partner. Attraverso le interviste a studentesse, imprenditrici e lavoratrici del terzo settore, Lusenti rende inoltre visibile quale posto ancora oggi viene riservato alle donne nella società e quindi nell’economia. Come evidenziato dai dati, nel mondo sono sempre di più le donne che hanno un impiego, ma la loro presenza diventa sporadica man mano che si sale verso i ruoli più retribuiti. In Italia la differenza tra il tasso di occupazione maschile e quello femminile è ampia. Le lavoratrici sono circa 9,5 milioni, mentre gli uomini occupati si attestano intorno ai 13 milioni. Solo il 55% delle donne di età compresa tra i 20 e i 64 anni lavora, a fronte di una media Ue pari al 69,3%. La percentuale di donne con ruoli dirigenziali è ancora troppo bassa e ad aggravare la situazione c’è una discriminazione verso chi ha figli. Una donna su cinque fuoriesce dal mercato del lavoro a seguito della maternità. La probabilità di non avere più un impiego nei due anni successivi alla nascita del figlio è quasi doppia in confronto alle donne che non sono madri: una differenza che pur attenuandosi nel tempo, permane almeno fino al 15esimo anno del primogenito.
La parità di genere passa anche per l’accesso al credito, ma il numero di prestiti erogati denuncia un altro aspetto delle disuguaglianze ancora esistenti. Nel 2023 le famiglie italiane hanno ricevuto finanziamenti per oltre 474 miliardi di euro. Di questi, solo 95 miliardi sono finiti alle donne, a fronte di 164 miliardi dati agli uomini e 216 riferiti a contratti cointestati. Una ricerca condotta da Episteme nel 2019 registrava che il 37% delle donne in Italia non possiede neppure un conto corrente. Ancora troppe lavoratrici dunque non controllano direttamente il frutto del proprio lavoro o dipendono completamente dal partner. Una condizione che può far scaturire anche episodi di violenza economica: nella stessa ricerca il 49% delle intervistate diceva di averla vissuta almeno una volta.
Una maggiore inclusione finanziaria, oltre a contrastare fenomeni di violenza, darebbe spazio alla visione femminile dell’economia, ritenuta da alcune ricerche mediamente più attenta al futuro sostenibile dell’ambiente e delle comunità rispetto a quella maschile. Anche se oggi le donne partecipano maggiormente all’economia formale – e in tante hanno trovato quel “coraggio di contare” di cui parla Lusenti – il genere femminile è ancora troppo sottorappresentato per poter fare la differenza. Il poco protagonismo delle donne ha ripercussioni su tutta la società, che oggi più che mai avrebbe bisogno di nuove idee, di una nuova governance.