mercoledì 11 dicembre 2024
Nonostante i tassi di occupazione e natalità italiani siano tra i più bassi d’Europa, si fa strada un nuovo modello lavorativo che mette al centro la persona e favorisce la conciliazione
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Cancellare il senso di colpa, quello che per anni ha accompagnato le mamme costrette a districarsi tra figli e lavoro con la paura di non fare mai abbastanza, e considerare la maternità un master, come lo ha definito ormai dieci anni fa un libro di successo. Una qualifica in più, un pieno di competenze organizzative per azzerare quel gradino che separa le donne dagli uomini quando si parla di carriera e stipendio, ma soprattutto di soddisfazione personale al lavoro. Se si guarda solo ai numeri lo sconforto non può che essere totale. L’Italia è fanalino di coda per il numero di donne che lavorano (il 56,5% contro una media europea del 70,2%), il part-time involontario e la precarietà sono armi di distruzione di ambizioni legittime e per le giovani che vivono al Sud la speranza di un’occupazione coerente con i propri studi resta una chimera. Condizioni che si traducono in un tasso di natalità ai minimi storici: 1,2 figli per donna contro gli 1,8 della vicina Francia: appena 379mila bambini nati nel 2023 e un calo del 2% stimato per l’anno in corso.

Una neo-mamma su cinque dà le dimissioni dopo la nascita del primo figlio secondo il report “Le equilibriste” di Save the Children. Una donna su quattro, aggiunge un recente report dell’Inapp, considera la maternità un ostacolo all’inserimento o al proseguimento nel mondo del lavoro. L’inverno demografico non è soltanto una questione occupazionale, ma l’azzeramento del dilemma carriera-figli se non è una condizione sufficiente, è comunque necessaria. Qualcosa però nel tessuto vivo delle aziende si sta muovendo: si fa strada, complice la rivoluzione copernicana del Covid che ha imposto modelli di lavoro flessibili centrati sui risultati e non sulle ore alla scrivania, una nuova mentalità. Fatta anche di donne che cambiano il sistema. Sonia Malaspina, direttrice Risorse Umane di Danone Italia, nel suo libro “Il congedo originale” scritto insieme alla collega Marialaura Agosta (Roiedizioni) racconta la sua esperienza di mamma e manager. «Ho avuto mia figlia 17 anni fa e quando sono tornata in azienda mi sono sentita quasi in colpa, la maternità era un tabù, un problema» racconta. Quando nel 2011 è arrivata in Mellin (divisione del gruppo Danone), pensava di trovare “il paradiso delle mamme” ma si è resa conto che le donne, pur essendo il 50% della popolazione aziendale erano concentrate alla base della piramide. «Erano “una zavorra”, dissi in maniera provocatoria al mio capo, evidenziando l’elevato tasso di disingaggio e assentismo. Gli consigliai di assumere degli uomini». Da quel momento in poi Malaspina si è impegnata per ribaltare quella piramide, trasformando il bilanciamento vita-lavoro in un pilastro di attrattività.

In Danone, 100mila dipendenti nel mondo di cui 500 in Italia, il fenomeno delle grandi dimissioni post-pandemia non si è verificato e il tasso di natalità del 2022, calcolato sulla base del personale in età tra i 25 e i 45 anni, è stato dell’8%. «Siamo stati tra i primi ad inserire cinque giorni di paternità obbligatoria per i neo-papà che oggi sono 20, il doppio di quelli previsti per legge - spiega Malaspina -. Sono convinta che l’attività di cura restituisca professionisti migliori: è proprio il caso di dire che la maternità, ma vorrei dire la genitorialità, è un master come sostiene il libro di Riccarda Zezza e Andrea Vitullo». Oggi le misure adattate sono tante, con un effetto a catena sulle 500 aziende fornitrici. Intanto un welfare di 2500 euro destinato a spese sanitarie o di istruzione o di accudimento, smartworking per necessità legate all’inserimento dei figli, riunioni in modalità mista, retribuzione al 60% della maternità facoltativa, bonus e premi di produttività al 100% per le mamme in maternità. «Una delle cose che facciamo, che può sembrare banale ma è molto apprezzata, è un colloquio con la neo-mamma per farci raccontare come vive il ritorno in azienda» conclude Malaspina.

Mettere le persone al centro insomma, è l’unica strategia vincente. Sono diverse le modalità che le aziende stanno mettendo in campo: conciliazione, che vuol dire nel caso “limite” di Engineering trasformare in tempo libero aggiuntivo il premio di risultato, congedo di paternità extralarge per favorire la cultura della parità genitoriale, nel caso di Barilla dal 2024 è di 12 settimane contro i 10 giorni previsti per legge, ma anche misure di sostegno psicologico e medico alla neo-mamma, con i piandi di Unicredit e Autostrade per l’Italia che prevedono un’assistenza di 12 mesi.

Grazie alla certificazione sulla parità di genere, la Uni-Pdr 125 istituita dal governo nel 2022, tutte queste attività sono diventate misurabili. Oggi sono circa 6mila aziende certificate, con le “grandi” che fanno da apripista. Anche per Chiesi, il gruppo farmaceutico di Parma che ha oltre 7mila dipendenti di cui 2250 in Italia, la valorizzazione del talento femminile è un asse portante. «Abbiamo eliminato il gender pay gap nel 2022 le donne in posizione di leadership sono il 42,5% con una popolazione aziendale femminile pari al 56% che sale al 67% nell’ambito della ricerca» spiega Giacomo Mazzariello, vicepresidente e responsabile delle risorse umane. Chiesi è una società B Corp ed nel 2024 è al 23 posto nella classifica World’s Best Workplaces. Nel contratto integrativo italiano sono previste una serie di misure dal congedo parentale facoltativo retribuito al 100% al congedo di genitorialità di 12 settimane, fruibile entro l’anno di vita del bambino oltre a 20 giorni di permessi retribuiti per i caregiver, part-time superflessibile per chi ha figli con meno di 6 anni, contributo al pagamento della retta dell’asilo nido e della scuola materna. «Il nostro obiettivo è fare di Chiesi un luogo dove realizzarsi – spiega Arianna Conca, responsabile Diversità e inclusione – puntiamo molto sulla formazione, con un programma di mentoring per la crescita delle nostre professioniste, e sulla creazione di momenti di dialogo tra i lavoratori». Perché per combattere le diseguaglianze è fondamentale abbattere i muri culturali. In questa direzione va l’iniziativa “Maschi che s’immischiano” dedicata ai dipendenti per raccogliere da loro percezioni e proposte sulla parità di genere.

Nella classifica di Forbes sulle società più “amiche” delle donne (la World’s Top Companies for Women) il primo posto in Italia e il nono del mondo lo ha conquistato Generali. La società leader nel settore assicurativo ha 82mila dipendenti, dei quali 15mila in Italia: l’obiettivo è ampliare il bacino delle lavoratrici in posizioni strategiche. Oggi sono il 40% a fronte di una presenza complessiva del 51%. Per farlo sono attivi diversi programmi di accelerazione della leadership con iniziative specifiche di formazione e coaching. Dal 2020 Generali è impegnata ad eliminare il divario retributivo di genere per la stessa mansione che attualmente è pari allo 0,9%. Misure di conciliazione specifiche sono previste per i genitori unici con figli sino a 14 anni. «Come Generali agiamo per essere un datore di lavoro responsabile e ci impegniamo per creare un ambiente di lavoro che consenta alle nostre persone di bilanciare al meglio le esigenze di vita privata con quelle professionali, sostenendo la famiglia in ogni sua forma e composizione - spiega Anna Nozza, direttore Risorse Umane di Generali Italia –. Infatti, oltre ad un modello avanzato di lavoro ibrido, abbiamo un ampio sistema di welfare che include asili nido aziendali e convenzionati, offriamo percorsi a supporto di neogenitori e genitori con figli adolescenti e un programma “Back to Work” per favorire il reinserimento lavorativo post congedo parentale». In questa direzione va anche un progetto unico nel suo genere: nelle sedi principali sono arrivate le quite rooms, stanze ad uso individuale dove la mamme possono tirarsi il latte.

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