Per non smarrirsi, l’innovazione ha bisogno di un “cuore”. Un cuore di “essere umano” costantemente rigenerato nella ricerca della propria essenza costitutiva e veritativa. Senza questo cuore, l’innovazione non è vera innovazione e farà fatica a germinare frutti belli, buoni e utili. Senza questo cuore l’innovazione (e qualunque discorso su di essa) è effimero e vano miraggio di onnipotenza, che il più delle volte distruggerà anziché creare, quali che siano le ragioni che la muovono. Invece, l’umanità necessita di una “innovazione amica”, capace di accompagnare l’umano verso il suo pieno compimento e di arrestare il processo di disumanizzazione e artificializzazione in corso.
La tradizione dell’umanesimo classico e rinascimentale custodita dal nostro Paese – arricchita e stabilizzata con le solide fondamenta assiologiche e morali del Magistero Sociale – può dare tanto in questa prospettiva e può essere posta a fondamento di un nuovo protagonismo dell’Italia nel più ampio scenario dell’ecosistema mondiale dell’innovazione. Una strategia che potremmo diventare «dottrina della rilevanza e dell’impresa di lungo termine». Non è inseguendo modelli (normativi, finanziari ed industriali) allogeni che il nostro Paese potrà guadagnare ruolo e rilevanza. Troppi ritardi, a livello di adeguatezza normativa, di dimensione finanziaria delle strategie di investimento e, infine, di cultura e approccio. L’Italia, attingendo alla propria storia, può e deve, invece, esprimere una sua visione originale costruendo su di essa il proprio vantaggio competitivo. L’Italia può e deve essere il “gigante” sulle cui spalle i “nani” traguardano l’orizzonte del futuro, contaminando di senso, prospettiva e umanesimo i modelli isotropi, omogenei ed indifferenziati della modernità, sterilmente ed aridamente protesi a massimizzare solo le performance quantitative. Dobbiamo puntare ad attrarre e includere piuttosto che inseguire e gareggiare. Per diventare “l’ecosistema degli ecosistemi” di tutto il mondo, per svolgere una funzione di raccordo e indirizzo utile a costruire la necessaria sintesi tra tradizione e innovazione, tra velocità e profondità, tra obiettivi, territori e paradigmi diversi. È – probabilmente – questa la nostra specificità, il nostro tesoro, l’asset su cui costruire il posizionamento del nostro Paese nello scacchiere globale dell’innovazione.
Il modello italiano custodisce un mistero fatto di lentezza e profondità in un’epoca veloce e superficiale. Profondamente innervato nella plurimillenaria tradizione della sapienza primigenia e dalla cultura classica, per questo è capace di decodificare e risolvere la complessità crescente e abilitare, anche in contesti industriali ed innovativi, il valore della longevità e della stabilità (plurisecolare) in alternativa alle mode passeggere e talvolta effimere. Un “mistero” che si è fatto capacità infungibile e tradizione e che ha già prodotto innumerevoli invenzioni ed innovazioni che hanno segnato la storia dell’umanità, un cammino in perenne equilibrio instabile tra fragilità del sistema nel suo complesso ed eccellenza di molte esperienze.
Si tratta di una innovazione per reazione che, inevitabilmente, genera una funzione della stessa innovazione discontinua e non lineare, puntuale e non integrale. Non è un caso che si parli sempre del genio italiano e non del sistema: in Italia l’innovazione coincide con le persone e non con le organizzazioni (pubbliche o private). Persone capaci poi di diventare comunità, che consentono l’evoluzione durevole dell’identità locale e della competenza industriale diffusa costruendo relazioni, reticoli tra contesti, saperi, identità, conoscenze.
È l’Italia del saper fare, della creatività che diventa metodo, della cultura del progetto e del prodotto. Un modello costantemente alimentato dalla spinta interiore dei singoli. È il lavoro spirituale che richiama l’etica della responsabilità personale. È la prospettiva suggerita nel celebre discorso agli ateniesi di Pericle: essere individualmente pensatori e costruttori di bellezza, di armonia, di verità. È, più di tutto, la sapienza della parabola dei talenti.
Ciò fa dell’imprenditore, del manager e dell’innovatore, prima di ogni altra cosa, un mistagogo e un asceta (talvolta anche inconsapevole): solo progredendo spiritualmente si potrà contribuire al progresso materiale. Nessuno al mondo può competere fino in fondo su questo piano. Non possiamo e non dobbiamo, quindi, rinunciare all’esigenza di capire e valorizzare quel tanto che non abbiamo ancora capito finanche di noi stessi.
È questo vero umanesimo digitale. È questo che rende grande ed unica l’Italia. È questo che le conferisce una missione infungibile. In particolar modo nella prospettiva del Rapporto Draghi oltre che delle strategie di sviluppo del Piano Mattei e dell’Area Mediterranea. Questo può sostenere l’azione di attrazione investimenti avviata dalla premier Meloni verso le big tech mondiali. In Compendio di Innovazione Armonica (Rubettino, 2023) e, prima ancora in Innovazione Armonica. Un senso di futuro (Rubbettino 2021) con Luca De Biase, abbiamo provato a sistematizzare questo approccio dando l’abbrivio a un percorso di ricerca che, sempre più, sta coinvolgendo un’ampia comunità scientifica a livello nazionale ed internazionale. Tale sforzo ha assunto, per noi, una formula ed una tassonomia precisa quanto, allo stesso tempo, aperta ed inclusiva: il paradigma dell’Innovazione Armonica. Una via italiana all’innovazione. L’assunto è semplice: l’innovazione deve recuperare antiche e fondamentali ontologie di senso e di valore se vuole efficacemente promuovere nuove e buone morfologie di futuro (produttive, economiche, sociali, normative, organizzative e culturali).
L’Innovazione Armonica è un tentativo possibilista di contaminazione tra hard e soft science, tra domini tecnologico-computazionali e perimetri socioeconomici, storico-umanistici e filosofico-morali. Individuando nel criterio dell’”armonia” lo strumento di sintesi dialettica funzionale al superamento del “pensiero unico” contemporaneo. Si badi bene però: l’armonia non come metodo bensì come canone. L’armonia intesa come obbedienza alle leggi supreme e costitutive della vita e della storia. Per la ricomposizione di una nozione di futuro arricchita da apporti compositi ed eternamente costitutivi. Per la promozione di una nuova economia civile nell’orizzonte dell’impegno fattivo per la riduzione delle diseguaglianze e delle ingiustizie, della tutela dei beni comuni, della custodia della pace sociale e tra i popoli, dell’inclusione, della diffusione della conoscenza e della crescita culturale delle nuove generazioni, in coerenza con le indicazioni dell’Agenda Onu 2030, dei Programmi “Green New Deal” e “Next Generation EU” della Commissione Europea, delle Encicliche Laudato si’ e Fratelli tutti di papa Francesco. Solo così sarà possibile ri-costruire, concretamente ed autenticamente, un vero “senso di futuro”.
L’Italia può e deve guidare questo processo globale. L’Innovazione Armonica – e con essa le esperienze di Entopan e di Harmonic Innovation Group – sono al servizio di questa prospettiva. Sarebbe bello che intorno ad essa si accrescesse – nel mondo dell’impresa e della finanza cattolica prima di tutto – un sempre più ampio movimento culturale, industriale ed istituzionale capace di rimettere l’Italia al centro di una strategia globale orientata alla costruzione di un nuovo ordine dello sviluppo eticamente ed umanisticamente ispirato.